di Don Enzo Bugea Nobile
Superiore della Pia Opera

Speranza. Il respiro dell’eterno

«La speranza poi non delude» (Rm 5,5)
Nel cuore dell’uomo, spesso avvolto da tenebre e incertezze, risplende un versetto come una fiaccola: la speranza non delude. Non si tratta di semplice ottimismo o attesa passiva. La spes è una forza interiore, una virtù teologale che solleva l’anima oltre i limiti del tempo, verso l’eternità.

L’anima tesa verso l’infinito

La speranza è radicata nel profondo dell’essere umano. Non è evasione né illusione, ma l’espressione più autentica della nostra apertura all’infinito. Siamo creature finite, eppure capaci di Dio — capax Dei, direbbe Agostino. In noi abita un desiderio d’eternità che nulla di terreno può colmare. È in questa tensione tra il già e il non ancora che si accende la speranza: il bisogno di un senso ultimo, il rifiuto di fermarsi all’immediato.

Essa nasce dal riconoscere la propria insufficienza — non sufficit mihi mundus — e si nutre nel grembo della fede.

Fede e speranza: un cammino intrecciato

Non si può sperare, se prima non si crede. La fede è la certezza che Dio è veritiero; la speranza è il moto del cuore che si protende verso il compimento delle sue promesse. La fede è l’occhio che vede; la speranza è il passo che cammina.

Sant’Anselmo scriveva che la fede cerca l’intelligenza: fides quaerens intellectum. Ma è la speranza a mantenere vivo il desiderio, a farci avanzare anche quando il cammino si fa oscuro. È l’energia dell’anima che tende all’incontro ultimo con Dio.

Sperare nella prova

Quando la vita si fa pesante, quando il dolore sembra inghiottire ogni cosa, è proprio lì che la speranza mostra la sua forza. Non è fuga, ma tenacia. Non è sogno, ma combattimento interiore. È ciò che spinse Giobbe, nella sua notte più nera, a proclamare: «Io so che il mio redentore è vivo» (Gb 19,25).

La speranza cristiana non nega la croce: la attraversa. È virtù pasquale, perché guarda alla Risurrezione senza rimuovere il Gòlgota. Come la sentinella che veglia nell’oscurità, essa resta in attesa dell’aurora: Speculator, quid de nocte? (Is 21,11).

Verso il compimento

A differenza di ogni altra speranza umana, la speranza teologale ha un orizzonte eterno. Non si esaurisce in traguardi terreni, ma tende alla gloria futura: gloria futura revelabitur in nobis (Rm 8,18). È già partecipazione al Regno: in spe salvi facti sumus (Rm 8,24). Chi spera davvero, vive già da redento. Vive come se la promessa fosse realtà presente, anche quando non è ancora pienamente visibile.

Speranza, volto dell’amore che attende

Tra fede, speranza e carità, la speranza è la più inquieta, la più dinamica. Se la fede è radice e la carità è il fiore, la speranza è il germoglio che si tende verso la luce. È l’amore che guarda oltre, che attende la pienezza dell’incontro.

Tommaso d’Aquino diceva che sperare significa desiderare un bene arduo ma possibile. La carità lo possiede; la speranza lo cerca con fiducia. Ma senza speranza, anche l’amore rischia di spegnersi nella routine. Chi ama davvero, spera nella salvezza dell’altro, nella redenzione del mondo, nella venuta del Regno.

Speranza come atto pubblico

La speranza non è solo moto interiore. È scelta profonda, profezia incarnata. Un cristiano che spera non si chiude nel disincanto, non si arrende alla logica del male, ma lavora per un mondo redento. Ogni civiltà dell’amore, come ricordava Giovanni Paolo II, si fonda su una civiltà della speranza.

Là dove si spegne la speranza, si fa strada la morte. Dove arde la speranza, anche la storia può essere trasfigurata.

Maria, icona della speranza

Nel cammino della speranza brilla la figura di Maria. Ella credette contro ogni speranza (spes contra spem): nel silenzio dell’Annunciazione, nella fuga in Egitto, sotto la croce. Maria è Mater spei, madre della speranza, perché ha vissuto la totale fiducia nel Dio dell’impossibile. Il suo “fiat” è la radice nascosta da cui sboccia ogni speranza cristiana.

Sperare è resistere al nulla

In un tempo attraversato da fragilità, solitudini e nichilismo, la speranza cristiana si erge come un atto radicale di resistenza. È il sì dell’anima al futuro di Dio. È la voce che dice: «Non morirò, ma vivrò e annuncerò le opere del Signore» (Sal 118,17).

Sperare è costruire, anche tra le rovine. È piantare semi in una terra arida, confidando che fioriranno. È lasciarsi abitare dal Dio che è speranza: Spes mea, fortitudo mea, in Te speravi Domine.

Chi spera, cammina. E chi cammina nella luce di Dio, non sarà mai deluso.