di Marco Palazzo

“Nemo sibi nascitur.”

Nessuno nasce per sé stesso.

In un’epoca in cui l’immagine ha spesso più peso dell’identità, il narcisismo è diventato una delle parole chiave per decifrare le dinamiche affettive, relazionali e sociali del nostro tempo. Non si tratta più solo di un disturbo psicologico elencato nei manuali clinici, ma di una vera e propria chiave di lettura del nostro modo di vivere, amare, comunicare. Dietro la maschera seduttiva del narcisista si nasconde spesso una ferita profonda, una fragilità antica mascherata da invulnerabilità, che si riflette tanto nelle relazioni sentimentali quanto nei meccanismi sociali e digitali

Letizia Bonelli, professionita della comunicazione, in questo approfondimento, sceglie una forma diretta e incisiva: un’intervista a domande secche e risposte nitide, che accompagna il lettore lungo un percorso di consapevolezza e disincanto. Dalla differenza tra egocentrismo e narcisismo patologico al ruolo delle vittime in queste relazioni tossiche, fino alla possibilità (o meno) di una guarigione. Uno specchio, sì, ma che invita più a riconoscersi che a contemplarsi.

Il narcisismo è una malattia o un tratto del carattere umano?
Nella sua forma patologica, il narcisismo è definito come disturbo narcisistico di personalità dal DSM-5.
Ma ridurlo semplicemente a una malattia è riduttivo e fuorviante.
È, prima di tutto, una ferita dell’identità: un’anima che si ancora a un’immagine grandiosa di sé pur di non affrontare la propria vulnerabilità.
Non è solo un eccesso di amor proprio: è un meccanismo difensivo contro l’autenticità.


Cosa differenzia un narcisista da un semplice egocentrico?
L’egocentrico desidera essere al centro dell’attenzione; il narcisista pretende di essere l’unico centro possibile.
L’egocentrismo è spesso una fase dell’immaturità. Il narcisismo, invece, è una struttura difensiva rigida, costruita su un’identità fragile ma mascherata da onnipotenza.
L’egocentrico può cambiare. Il narcisista si protegge da tutto ciò che potrebbe incrinare la sua maschera.
Non ama sé stesso: ama la sua immagine riflessa.


Il narcisismo si riconosce facilmente?
Tutt’altro. Spesso si presenta in abiti eleganti: fascino, efficienza, sicurezza apparente.
È seduttivo, brillante, manipolatore.
Ma col tempo si scopre che, in quella relazione, l’altro non esiste: esiste solo una funzione al servizio di un ego affamato.
Un narcisista si riconosce solo dopo esserne stati attraversati.


Chi ama un narcisista, alla lunga cosa prova?
Sfinimento. Confusione. Dissonanza.
È una danza logorante: uno si svuota, l’altro si gonfia.
Ogni conflitto viene ribaltato. La colpa è sempre dell’altro.
Si sviluppa un senso di colpa tossico, una prigione affettiva.
Come si direbbe in latino: Amor captus, libertas perdita — l’amore che cattura sottrae la libertà.


Il narcisista è consapevole di esserlo?
Raramente.
La sua intera struttura psichica è costruita per evitare quel confronto.
Se si guardasse davvero allo specchio, crollerebbe.
Molti narcisisti non arrivano mai in terapia: solo una crisi profonda, un tracollo, una vera catabasi può aprire una breccia.
Finché tutto funziona, non ha alcun motivo per cambiare.


Può guarire, o è un destino irreversibile?
Può guarire, ma spesso non lo vuole.
Finché il sistema regge, il narcisista preferisce restare nel proprio castello interiore.
Solo quando l’illusione del controllo crolla può cominciare il lavoro di ricostruzione.
Un cammino lungo, fatto di confronto con il dolore, il limite, il rifiuto.
Nessuna vera trasformazione avviene senza umiltà.
Humilitas via veritatis — l’umiltà è la via della verità.


Si può amare un narcisista senza perdersi?
Solo se si smette di volerlo salvare.
L’amore non è redenzione unilaterale.
Chi resta accanto a un narcisista deve chiedersi:
“Cosa, dentro di me, cerca questa dinamica?”
Perché spesso chi ama un narcisista ha una ferita complementare.
E se non si guarisce quella, si resta intrappolati.
Non si può salvare nessuno affondando con lui.


Cosa ci insegna, in fondo, il narcisismo?
Che viviamo in un’epoca in cui conta più l’apparire che l’essere.
Il narcisismo collettivo è alimentato dai social, dalle vetrine, dal culto dell’io performativo.
Ma nessuno specchio restituisce l’essenza.
Il narcisista è il simbolo tragico e fragile di questa deriva: un homo specularis, prigioniero della propria immagine.
Eppure, da ogni gabbia si può uscire.
A patto di voler tornare ad essere carne.
Non riflesso.