di Letizia Bonelli

(La verità, senza carità, acceca.)
Viviamo nell’epoca della memoria assoluta, in cui ogni parola, ogni azione, ogni errore viene registrato, archiviato, indicizzato. In questa condizione, l’essere umano non è più narrato, ma schedato. Il web diventa un tribunale eterno, dove il passato non si limita a riaffiorare: imperat.
Eppure, homo est ens mutabile. L’essenza dell’uomo è la trasformazione, il divenire. Filosofi come Eraclito ci hanno ricordato che nulla resta immobile: panta rei. L’identità di una persona non può essere congelata in un titolo di giornale, né ridotta a un link su un motore di ricerca.
Il diritto all’oblio, formalmente riconosciuto dall’articolo 17 del GDPR (Regolamento UE 2016/679), non nasce da una tensione verso la censura, ma da un’urgenza umanissima: restituire all’individuo il potere di non essere definito per sempre da un momento del passato, soprattutto quando quel momento è divenuto obsoleto, superato, o lesivo della sua dignità.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la storica sentenza Google Spain (C-131/12), ha chiarito che una notizia può essere vera, ma non più rilevante. L’interesse pubblico non può tramutarsi in una persecuzione digitale. Fiat iustitia, ne pereat homo,che si faccia giustizia, affinché l’uomo non perisca.
Ma la giustizia digitale, per essere tale, deve essere anche etica. Non si può parlare di libertà senza includere la libertà di ricominciare. E non si può parlare di dignità se l’individuo resta schiavo del suo passato più fragile. Il diritto all’oblio, allora, è un diritto alla rinascita,non cancella la verità, ma la colloca nel tempo, la misura, la umanizza.
In una società in cui la reputazione si costruisce in un clic e si distrugge in uno screenshot, occorre ripensare il rapporto tra memoria e giustizia. La memoria del web è meccanica, non misericordiosa. Ricorda tutto, ma non capisce il senso. Ecco perché serve l’intervento umano e giuridico. Perché ci sono memorie che meritano silenzio. Perché silentium est forma caritatis, il silenzio, a volte, è una forma di amore.
Il diritto all’oblio è allora un diritto filosofico prima che giuridico. È il riconoscimento che la persona è superiore alla propria biografia. Che l’essere umano ha diritto all’evoluzione, alla redenzione, alla speranza.
Come scriveva Seneca: “Non quia difficilia sunt non audemus, sed quia non audemus, difficilia sunt.”
(Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma perché non osiamo che diventano difficili.)
Abbiamo timore del diritto all’oblio perché ci sembra un cedimento della verità. Ma la verità senza tempo diventa tirannia. E la giustizia senza umanità si trasforma in crudeltà algoritmica.
Per questo oggi, più che mai, il diritto all’oblio è un atto di civiltà. Un invito a riscrivere la nostra idea di giustizia, non come condanna, ma come opportunità.
Perché la dignità di ogni persona nel tempo, nel diritto, e nel cuore, merita di essere ricordata per ciò che è diventata, non solo per ciò che è stata.