Ne parliamo con l’esperta di comunicazioni sociali, Letizia Bonelli

Tutti noi abbiamo sentito parlare di quella inqualificabile e penalizzante condotta che spesso abita il mondo del lavoro, gli uffici, gli ambiti lavorativi in genere: il “mobbing”, un tarlo che poco alla volta, silenziosamente, denigra e demolisce la personalità dell’individuo con gravi ricadute sulla psiche, sull’autostima e sulla propria professionalità, con una lenta emarginazione.
Ne parliamo in questa intervista con un’esperta di comunicazioni sociali, ottima giurista e difensore inflessibile dei diritti inviolabili della persona: la dottoressa Letizia Bonelli, che ha fatto della protezione della persona una ragione di vita. Il tema del mobbing è una delle personalità maggiormente qualificate.

Dottoressa Bonelli, che cos’è in sostanza il mobbing?

“Possiamo definirla una lenta, ma progressiva erosione della propria identità. È un quotidiano agguato al proprio equilibrio interiore, mascherato da normalità. Il mobbing è una invisibile violenza, terribilmente concreta, però. Si tratta del tentativo di ridurre un essere umano a funzione e direi oggetto, negandogli il diritto di esistere ed esprimersi come persona. ‘Homo non est in re publica, l’uomo non è una cosa’.”

Da dove nasce e che origine ha questa dinamica che possiamo definire tossica ed anche ingiusta?

“Nasce da un potere sbagliato e corrotto del proprio ego, dall’alto di una miseria relazionale. È l’eco della moderna e sottile sopraffazione. È anche un uso distorto e violento dell’ambiente di lavoro per consumare una vendetta silenziosa, ma terribile. Corruptio optimi pessima, la corruzione del migliore è la peggiore, dicevano i latini.”

Quali sono le conseguenze interiori per chi lo subisce?

“Il tempo si deforma, e la propria autostima si sgretola piano piano. Si perde il confine tra ciò che si è e ciò che si subisce. È una lenta e continua caduta nel vuoto del non riconoscimento, con esiti anche psicologici importanti. Si scardina il diritto alla libertà e all’integrità della persona. È la dignità che viene violata.”

E chi lo compie di che responsabilità si rende colpevole?

“Non si tratta solo di inqualificabile condotta, ma anche di una responsabilità trasversale alla legge. Si tratta di una violazione del diritto alla tutela della persona fisica, di cui all’art. 2087 del Codice civile, ma anche il fondamento dell’humanitas. Non danneggiare l’altro è la base del vivere civile, alterum non laedere.”

Che cosa può fare chi assiste o peggio subisce questa forma di violenza?

“Rompere il silenzio, venire fuori e denunciare. Riconoscere il proprio valore. Ogni atto di consapevolezza è un argine contro la disumanizzazione. Perché dove finisce la paura, allora può cominciare la giustizia. Fiat iustitia et pereat mundus: si faccia giustizia costi quel che costi, anche se dovesse crollare il mondo.”

Chiara, dunque, l’invito di una esperta decennale in tema di mobbing, di sopraffazione nel lavoro, perché sia il lavoro che la persona hanno un denominatore comune: la dignità e la tutela del proprio valore.
Non dimentichiamo che spesso il mobbing, oltre che attuarsi, ha esiti in problemi relazionali, esistenziali, a volte generati per frustrazione e non rara proiezione, incluse mire di margine, gelosie o antipatie ancora, relazionali e rancori.