Martina Carbonaro aveva solo 14 anni.
Occhi pieni di futuro, parole ancora incerte, sogni appena accennati.

Un giorno, qualcuno ha deciso che il suo “no” era troppo.
Che la sua libertà faceva troppo rumore.
Che la sua adolescenza doveva finire nel sangue.

Martina è stata uccisa.
E non solo con un sasso.

È stata uccisa anche dalle parole. Quelle dette dopo. Quando il corpo era già freddo:

«Era un bravo ragazzo.»
«Era innamorato.»
«Lei lo faceva soffrire.»

Frasi pronunciate dal padre dell’assassino. Diventate virali.
Indignazione. Rabbia. Condanna.

Eppure, fermiamoci un attimo. Non per giustificare. Ma per comprendere.

Quel padre ha sbagliato.
Ha parlato con l’istinto, non con la coscienza.
Ha scelto di difendere suo figlio, forse per disperazione.
Dietro le sue parole non c’è solo patriarcato. C’è anche dolore. C’è paura. C’è un uomo che ha perso tutto, e ancora non lo sa.

Criticare è facile.
Ma siamo pronti a guardarci dentro?

A chiederci perché un ragazzo giovane possa credere che l’amore sia possesso?
Chi gliel’ha insegnato?
Chi non gli ha mai detto che non è così?

La responsabilità non è solo individuale.
È culturale. Collettiva. Sistemica.

È nei silenzi a tavola.
Nei film romantici che confondono gelosia e amore.
Nei social che glorificano l’“uomo ferito” e colpevolizzano la ragazza “che provoca”.

E in tutto questo orrore, non dimentichiamo i genitori di Martina.

Sua madre, spezzata da un’assenza che non farà mai meno male.
Suo padre, costretto a sopravvivere al silenzio lasciato da sua figlia.

A loro va il nostro rispetto più profondo. Il nostro silenzio più vero.
Perché non c’è giustizia che basti.
Non c’è parola che ripari.
Non c’è abbraccio che riempia quel vuoto.

Martina non tornerà.
Ma può restare.
Nei gesti nuovi. Nelle parole giuste.
Nel rispetto che dobbiamo a tutte le vite spezzate.

Perché il rispetto non si dona solo ai vivi.
Si deve anche ai morti.
Soprattutto a chi è morto senza colpa.

Martina aveva il diritto di vivere.
E noi abbiamo il dovere di cambiare.

Il linguaggio.
L’educazione.
La narrazione.

Perché nessun amore è amore se fa paura.
Perché nessun dolore giustifica un omicidio.
Perché nessun genitore dovrebbe mai seppellire un figlio per un’ossessione che chiamavano amore.

Ai genitori di Martina: tutto il nostro amore.
Che il vostro dolore trovi in noi ascolto, rispetto e memoria.

Martina vivrà nel cuore di chi non smetterà mai di nominarla.
Con giustizia. Con verità. Con tenerezza.

Letizia Bonelli