Ascensio Domini: il ritorno alla Fonte
di Don Enzo Bugea Nobile
Nel cuore del cristianesimo, l’evento dell’Ascensione segna non solo la conclusione della presenza visibile del Cristo Risorto nel tempo, ma inaugura una nuova modalità di relazione tra il divino e l’umano. È il mistero del ritorno: Redit ad Patrem qui ex Patre processit. La circolarità trinitaria si compie nell’evento dell’Ascensio, in cui la carne umana, assunta e trasfigurata, è elevata sino al grembo dell’Eterno.
1. Philosophia Ascensionis
Nel pensiero platonico, ogni anima tende naturalmente verso l’alto, verso l’Idea del Bene, che è la fonte di ogni realtà. In tale prospettiva, l’Ascensione non è un semplice allontanamento spaziale, ma una metanoia cosmica: l’uomo è chiamato a elevarsi con Cristo, mens sursum elevetur, verso ciò che lo trascende. L’“andare al Padre” non è fuga dal mondo, ma ricapitolazione (recapitulatio) del senso.
Per Plotino, il ritorno all’Uno è la meta di ogni intelletto che si sia liberato dalle catene della materia. Cristo, Logos incarnatus, non si limita a indicare la via: Egli è Via ipsa. Con l’Ascensione, non solo Egli rientra nella Gloria del Padre, ma trascina con sé l’intera umanità, già misticamente inserita in Lui. Ubi caput, ibi et membra – dove è il Capo, là saranno anche le membra.
2. Lex Caritatis et Gloria Corporis
Nell’Ascensione si realizza una verità scandalosa per la filosofia antica: la carne sale al cielo. Caro Christi regnat in caelis. Contro ogni dualismo, contro ogni spiritualismo disincarnato, il cristianesimo afferma che ciò che è stato assunto non viene annullato, ma glorificato. Il corpo di Cristo, crocifisso e risorto, è ora in Dio. È l’epifania ultima della lex caritatis: non si ama mai solo con l’anima, ma anche con il corpo.
Ascensio non è evasione ma compimento: ciò che era fragile, esposto al tempo e alla morte, viene assunto nell’eternità. Il tempo stesso è ferito dalla luce dell’eterno. Come dirà Agostino: etiam tempus ascendit, cum Verbo caro factum est – anche il tempo è salito, quando il Verbo si fece carne.
3. Pneumatologia dell’assenza
L’Ascensione lascia dietro di sé una “assenza piena”. Ma non è un’assenza vuota, bensì gravida di promessa: “È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito” (Gv 16,7). L’elevazione di Cristo inaugura il tempo dello Spirito. In termini hegeliani, potremmo dire che lo Spirito è l’effetto della negatività produttiva dell’assenza. Il Cristo “che non si vede” è ora il Cristo “che si interiorizza”. La presenza diventa interiore, mistica, sacramentale.
Non relicti sumus orphani, perché l’assenza del Cristo è l’utero della Chiesa. La comunità credente nasce proprio in quell’intervallo tra la visibilità del Risorto e la potenza dello Spirito. È la logica del inter-esse: lo Spirito è ciò che sta “in mezzo”, e dunque tiene unito il cielo e la terra, Dio e l’uomo, il già e il non ancora.
4. La verticalità come eschaton
L’Ascensione introduce una nuova geometria esistenziale. Non più l’orizzontalità del cammino terreno, ma la verticalità dell’attesa. L’uomo non è più un pellegrino soltanto, ma un essere elevato (elevatus homo), la cui speranza è ancorata nel cielo. Conversatio nostra in caelis est (Fil 3,20): la nostra cittadinanza è nei cieli.
Questa speranza non è fuga, ma radicamento nell’oltre. Come dice Benedetto XVI, l’uomo ha bisogno di un “orizzonte aperto”, di un cielo che non lo schiacci ma lo chiami. L’Ascensione è allora la promessa di un’esistenza trasformata, in cui la materia stessa sarà redenta. Nova creatura, nova patria.
Conclusio: In altum cor
L’Ascensione del Signore è la metafora perfetta del destino cristiano: elevazione, non evasione; trasformazione, non abbandono; presenza spirituale, non perdita. Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia e proclamiamo Sursum corda, rinnoviamo questa tensione escatologica: il cuore si eleva con Cristo, la carne anela alla gloria, il tempo si apre sull’eterno.
Come afferma san Leone Magno: hodie non solum paradisi adepti sumus possessionem, sed in ipso Christo super caelorum culmina translati sumus – oggi non solo abbiamo ottenuto il possesso del paradiso, ma in Cristo stesso siamo stati trasferiti al di sopra dei cieli.
Ascendit, ut traheret.
È salito, per attrarci a sé. E da lassù, continua a dirci: Ubicumque fueritis, ego vobiscum sum usque ad consummationem saeculi.