Gaia Spagnol intervista a Letizia Bonelli, esperta di diritto all’oblio e comunicazione etica
D: Letizia, si dice che la parola sia la più potente delle armi. Ma quando è che la comunicazione smette di costruire e inizia a distruggere?
R:
Quando perde l’anima. Quando non è più un ponte, ma un coltello affilato. La comunicazione nasce per connettere, per creare comunità, per farci meno soli. Ma se guidata da superbia, rancore o superficialità, si trasforma in una gladius linguae, una spada che taglia senza lasciare sangue visibile. Oggi, nel tempo delle parole in eccesso e del pensiero in difetto, vediamo spesso questo ribaltamento, il verbo che non si fa carne, ma ferita.
D: Nel tuo lavoro affronti spesso casi in cui la parola ha fatto danni irreparabili. Cosa succede quando la comunicazione si imprime nella memoria digitale?
R:
Succede che l’oblio viene messo in catene. La parola, una volta pronunciata, dovrebbe potersi dissolvere nel tempo, come la sabbia sotto il vento. Ma il web congela ogni errore, ogni commento affrettato, ogni calunnia. È come incidere su pietra quello che sarebbe dovuto evaporare. E allora il danno si fa eterno, perché la comunicazione non è più solo dire è restare. Ingiustamente, a volte. Il verbum digitale non passa permane, perseguita, punisce.
D: C’è una responsabilità etica nel comunicare? Anche nei social, anche nei momenti più leggeri?
R:
Sempre. La leggerezza non deve mai sconfinare nella leggerezza d’animo. Ogni parola è un seme può fiorire o infestare. Anche un commento sarcastico, anche una battuta, possono pesare sul cuore di chi legge. L’etica della comunicazione è prima di tutto un’etica della cura. Cura verborum, cura hominum prendersi cura delle parole è prendersi cura dell’umano. La comunicazione è il riflesso della coscienza, e la coscienza non va mai messa in modalità aereo.
D: E quando siamo noi stessi vittime di una comunicazione tossica? Come si può rispondere?
R:
Con dignità, mai con vendetta. Non si combatte il fango con altro fango. Si risponde con silenzi che parlano, con atti che disinnescano. Talvolta, si può ricorrere al diritto, sì come nel caso del diritto all’oblio o della tutela della reputazione, ma anche la via interiore è potente rispondere alla ferita con la verità di ciò che si è. Non verba, sed vita loquatur, non siano le parole a parlare per noi, ma la nostra vita.
D: Infine, Letizia, se dovessi condensare in un’immagine poetica il senso della comunicazione giusta, come la descriveresti?
R:
Una voce che accarezza l’anima come la luce accarezza il mare all’alba discreta, profonda, vera. La comunicazione giusta è un vento che non urla, ma orienta. Non ha bisogno di colpire basta che arrivi. E quando arriva, genera bellezza. Perché la parola che salva non fa rumore, ma fa radici.