Di Letizia Bonelli

Viviamo in un tempo in cui tutto è condivisibile e quindi nulla è più segreto.
Nel 2025, non serve più il Grande Fratello di Orwell: siamo noi stessi a porgere ogni dettaglio della nostra vita alla rete, sorridendo davanti a uno schermo come davanti a un altare, in attesa di un like che consacri il nostro passaggio sulla terra.

Parliamo di privacy come di una reliquia da difendere, come se fosse una moneta rara persa in fondo a un baule digitale. Eppure, mentre gridiamo al mondo il diritto a essere lasciati in pace, tagghiamo ogni istante, geolocalizziamo ogni battito del cuore, infiliamo #felicità su foto ritoccate, come se la vita fosse autentica solo quando viene guardata.

Non è la società che ci spia: siamo noi a offrirci. Volontariamente.
Sorridendo.

“Noli me tangere”, sembrava dire la privacy.
Ma noi l’abbiamo venduta per un pugno di notifiche.

La verità è che la privacy non è mai esistita davvero nella forma in cui oggi la rimpiangiamo. Forse era solo il silenzio tra due lettere, lo spazio bianco tra due frasi non dette. Un tempo era sacra, ora è decorativa: messa nei footer dei siti web, tra i consensi e le policy che nessuno legge.
È diventata uno specchio rotto: riflette qualcosa, ma non siamo più certi di cosa.

E allora ci chiediamo: si può essere felici in un mondo dove siamo tutti esposti, tutti osservabili, tutti volontariamente vetrinizzati?

La felicità, oggi, non è più uno stato dell’anima, ma una posa da adottare.
Abbiamo confuso l’intimità con la performance.
L’io profondo con il profilo pubblico.
Il vissuto con la story di 24 ore.

Eppure, qualcosa dentro di noi resiste.
Una scintilla che dice: “Tu non sei la somma dei tuoi post. Tu sei ciò che non si può raccontare”.
Quella parte che non si fotografa, che non si tagga, che non si monetizza.
È lì che può ancora germogliare la felicità.
Non nell’esser visti, ma nell’esser compresi.
Non nel raccontare ogni cosa, ma nel custodire ciò che conta.

“Beatus est qui contentus est latere” – Felice è colui che è contento di restare nascosto, scriveva Seneca.
Ma oggi, chi vuole davvero sparire?

Abbiamo fame di riconoscimento, perché ci sentiamo dimenticabili.
Eppure la vera libertà non è nell’essere visibili, ma nel poter scegliere di non esserlo.

E allora la felicità nel 2025 — in questa epoca di selfie e sorveglianza volontaria — non è impossibile.
È solo più silenziosa.
Più discreta.
Come una carezza che non si mostra, ma si sente.

È nascosta dietro uno schermo spento.
In una passeggiata senza foto.
In una conversazione che resta tra due cuori e non su due profili.
È nella capacità di essere presenti senza essere pubblicati.

Perché forse, la vera rivoluzione non è spegnere il mondo digitale,
ma tornare a guardarci negli occhi,
senza filtri,
senza tag,
senza hashtag.

Solo tu.
E io.
Nella verità invisibile di chi ha scelto di essere,
non solo di apparire.