Bebele comunicativa e mondo global sottosopra

1. Erranza e babele linguistica, due castighi biblici

Ogni civiltà, in quanto comunità organizzata a livello tribale, locale, nazionale e sovranazionale, regola la convivenza e gli ineluttabili conflitti sperimentando peculiari codici linguistici giuridici. I quali hanno la funzione di rendere anzitutto attiva e sostenibile la comunicazione finalizzata – con gesti, segni e procedure convenzionali – a mettere in comune, in sintonia gli uni con gli altri nella conoscenza, nelle competenze e nelle contaminazioni tra i diversi saperi.

Per questo, i messaggi acquisiti nell’incontro tra culture, anche tra loro lontane, si sono progressivamente evoluti. Passando dall’ancestrale diretta e talvolta menzognera gestualità corporea non verbale, alle immagini fiabesche dell’era mitologica;  sino ad affinare i meccanismi complessi concettuali ed emotivi veicolati dalla parola, dato che i concetti non esistono senza la parola.

Di ciò si vanta l’homo sapiens-sapiens, tuttavia ancora poco consapevole di essere omologato dal potere súbdolo di modelli informativi preconfezionati da fonti mediatiche. Infatti, egli non a caso viene già definito “mediantropo” (dal latino medium, mezzo , e dal greco ánthropos, uomo); con buona pace del pluralismo garantito dalla nostra Costituzione in tema di inviolabilità delle comunicazioni (art.15) e di libera manifestazione del pensiero (art.21).

Una umanità teleguidata verso una sorta di tribalismo post-umano è, a maggior ragione, condannata in permanenza a sperimentare la dispersione geografica e la mescolanza di idiomi diversi; ciò che qualcuno ritiene conseguenza dei due castighi raccontati dalla Bibbia quale risposta di Dio all’umana superbia.

Da un lato il destino di erranza che, dopo la cacciata dal Paradiso terrestre dei nostri progenitori a causa del peccato originale, condanna individui e popoli – per necessità di vita e/o di scambi – a vagare sbalzellati attraverso l’orbe terracqueo; 

che peraltro ora appare sempre meno accogliente e resiliente sotto il peso e i consumi di otto miliardi di persone.

Dall’altro lato la confusione delle lingue, che – come pure narra la Genesi – impedì ai discendenti del vecchio patriarca Noè di continuare a capirsi e quindi di portare a termine la Torre di Babele, concepita come assalto alla “porta di Dio”. 

Si spiegano forse così, ancora oggi, il babelismo e il caos provocati dalla forzata erranza di nuove ondate migratorie, che richiedono comunque come necessaria la regolamentazione della difficile integrazione socioculturale di dialetti, tradizioni e costumi assai distanti tra noi e tra loro.

2. Informazione tech e globalismo frantumato

Chi studia un po’ di storia sa che l’intreccio tra popoli e lingue diverse non è generato solo dalle migrazioni, che ora la retorica sovranista sospetta addirittura di causare “sostituzioni etniche” ai danni degli italiani a corto di nascite.

Infatti, a ribaltare il mondo e metterlo sottosopra ci pensano da sempre le guerre sanguinarie e aggressive, scatenate per la conquista violenta di territori altrui da colonizzazioni e da imperialismi mascherati da “civilizzazioni”.

Basta al riguardo ricordare: – l’espansionismo militare e culturale dell’antico impero di Roma; – le medioevali invasioni barbariche non proprio pacifiche (Unni, Goti, ecc.); – la “scoperta” delle Americhe con i conquistatori, corrotti dal potere, affaccendati a sopprimere gli atavici costumi dei “nativi”; – le conquiste coloniali degli ultimi due secoli, messe in atto dai Paesi europei (Italia compresa) per depredare e spogliare a tappeto le molte risorse dell’Africa. 

È del resto noto che i nuovi “padroni” usano imporre alle popolazioni sottomesse la propria lingua quale strumento di controllo, attraverso informazioni affidate alle false promesse della propaganda politica e alla ingannevole pubblicità commerciale. 

Ciò si manifesta tuttora con la divulgazione planetaria della lingua inglese,  grazie all’attuale posizione di egemonia Usa; trattasi di una specie di “melting pot”, un pentolone buono per ogni latitudine, e tra l’altro visto come il fumo negli occhi    – pur tra molte contraddizioni – dagli attardati custodi della residua purezza della nostra lingua nazionale. 

In ogni caso l’informazione tech, che oggi imperversa a tutto campo, era stata salutata come idonea a rappresentare – anche attraverso gli anglicismi – il processo di globalizzazione, avviato dall’Occidente con l’obiettivo di realizzare un nuovo assetto-ordine mondiale. 

Il mondo global si è però presto confinato e frantumato nel pantano di sistemi neoliberali, che però non conoscono la democrazia. Pertanto il mondo è finito sottosopra tra materialismi, faccendieri senza scrupoli ed enormi squilibri, registrati dovunque, e paradossalmente soprattutto nei paesi ricchi pieni di poveri (v. Iraq, ecc..).

Il guaio è che la spietata legge di mercato, basata sulla concorrenza e sull’antagonismo tra blocchi di interessi (il malloppo!), camuffati da ideologie contrapposte, ha commesso l’errore di separare l’economia dall’etica, la coscienza collettiva dal bene comune e la cultura dalla politica.

La tecnologia avanzata e l’informatica cognitiva hanno inoltre consentito ai social/ di recidere il sociale, e all’economia di ignorare e di fare scempio dell’ecologia

Si è quindi diffuso un generalizzato senso di sfiducia e di straniamento, per cui ognuno strologa e si muove per conto proprio; anche a causa della mancanza di una lingua madre buona a fare emergere le ragioni di una nuova umanità coesa e solidale.

Ecco dunque delinearsi un mondo sostanzialmente incapace di relazionarsi e di informarsi dal vivo, in quanto la dimensione virtuale ha ormai eliminato le distanze spaziali, ma nel contempo ha allontanato le persone tra loro. 

In questo modo il  corpo sociale tende a dissolversi, risultando ora rimpiazzato  dalle schermate Ipod e dalla configurata fugace utilità del metaverso, del robot e dell’intelligenza artificiale.

Basterebbe intanto continuare ad allenare la creatività per stupirsi di un fiore o della curiosità di un bimbo.

Benito Melchionna
Procuratore emerito della Repubblica