1. Vaccinazioni, molte idee ma “confuse”
L’uso di qualsiasi
farmaco (dal greco,
rimedio,
veleno), soprattutto se volto a combattere
malattie significative e severe, è quasi sempre accompagnato da attese messianiche di guarigione e insieme da malcelato
timore per i suoi possibili effetti collaterali
avversi.Questi contrastanti sentimenti vanno oltre rispetto alla legittima pretesa di vita sana dei singoli individui, e assumono rilevanza collettiva quando si tratta di v
accinazioni di massa; profilassi destinata a contrastare le
epidemie ovvero le
pandemie (dal greco,
tutto il popolo) che, in modo ricorrente, coinvolgono intere popolazioni.La gravissima emergenza sanitaria da
SARS-CoV-2 che, dal finire dell’anno 2019, ha portato morte e lutto nel mondo intero, con conseguenti altrettanto devastanti crisi economiche e sociali, ha infiammato e reso attuale la già dibattuta questione relativa alla
obbligatorietà o meno della somministrazione dei vaccini.Infatti il panico e il
caos, causati dalla drammatica percezione del
pericolo incombente di contagio diffusivo, si sono amplificati dinanzi al veloce e vasto dilagare del nuovo
virus. Portatore quest’ultimo di una malattia infettiva praticamente sconosciuta agli scienziati e agli stessi operatori sanitari, sia nella sua eziologia, sia nei suoi effetti distruttivi e sia con riguardo a una efficacie (finora poco disponibile) terapia di contrasto.Ciò ha spinto i colossi del mercato farmaceutico, in concorrenza tra loro, la comunità scientifica internazionale e il gravoso settore della ricerca, a studiare e a produrre, in tutta fretta, diversi tipi di vaccino
antiCovid-19.Alcuni di tali vaccini, pur tra vari dubbi e contrattempi poco rassicuranti, hanno ottenuto dalle competenti autorità regolatorie la prescritta validazione scientifica, sul presupposto di sperimentazioni e riscontri oggettivi.Essi sono perciò ritenuti efficaci (in diverse percentuali) nella idoneità a stimolare la produzione, nell’organismo infetto, di specifici anticorpi immunizzanti (repliche di “
varianti” permettendo).In ogni caso parte minoritaria della popolazione, influenzata dalla grande confusione al riguardo generata in particolare dal vaniloquio dei
social e dal controverso rituale di un sistema di
comunicazione massmediatico simil-culturale, appare orientata a respingere i vaccini già nella fase di somministrazione; ciò sia per ragioni
ideologiche (vedi movimenti “
no-vax” e
negazionisti), sia per
paura di sospette
reazioni o
conseguenze avverse.Sono tuttavia innegabili i
traguardi raggiunti, negli ultimi anni, dalla profilassi vaccinale, anche in forza della obbligatorietà imposta per legge al fine di contrastare la diffusione di taluni devastanti
agenti patogeni (vaiolo, morbillo, poliomielite, ecc.).Forte di questi risultati, la
legge n. 119/2017 ha portato a
dieci il numero di vaccini obbligatori per i minori di
anni sedici (con previste sanzioni pecuniarie) rispetto alle
quattro già richieste per la frequenza ai sistemi educativi e scolastici.La citata legge è stata tra l’altro riconosciuta in linea con i principi costituzionali dalla
sentenza n. 5/2018 della Corte costituzionale, la quale ha anche riaffermato la
competenza esclusiva dello Stato in tema di vaccinazioni, considerate l’unitarietà della
salute pubblica e la pluralità degli interessi in gioco.Sullo stesso tema, nel ribadire l’esigenza di una gestione unitaria della pandemia a livello nazionale, nel quadro della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ex
art. 117 Cost., la medesima
Corte (
ordinanza n. 4 del 14 gennaio 2021) ha “
sospeso” la legge regionale della
Val d’Aosta n. 11 del 9 dicembre 2020, che derogava in termini più permissivi alle norme governative
antiCovid. Inoltre, la stessa
Consulta, con
sentenza n. 268/2017, premesso che le vaccinazioni (sia quelle
obbligatorie, sia quelle
raccomandate) sono eseguite per un interesse sociale collettivo, aveva già riconosciuto la conformità a
Costituzione dell’obbligo posto a carico dello Stato di
ristorare, con congruo
indennizzo, i soggetti colpiti e danneggiati dagli effetti collaterali in conseguenza del vaccino.
2. Salute (e vaccini) tra individuo e collettività
Per orientarsi nel dibattito in argomento è necessario partire dall’
art. 32 Cost., il quale definisce la tutela della salute come “
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”; aggiungendo che “
nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.Sul piano storico, sembra opportuno ricordare che i costituenti, avendo ancora negli occhi gli orrori della guerra appena finita e volendo sancire per sempre il rigoroso ripudio dei macabri esperimenti dei medici nazisti sui civili e sui prigionieri, puntualizzarono la
centralità del
diritto individuale alla salute.L’evoluzione sociale e giurisprudenziale, centrata sulla espansione del perimetro dei
diritti, ha negli ultimi decenni approfondito il primato della libera
autodeterminazione del soggetto interessato, fino al riconoscimento del
diritto a morire e del
rifiuto della cura.Nel contempo però, l’interpretazione più aggiornata costituzionalmente orientata sul versante dei
doveri, ha attribuito pari dignità ai
valori sociali di nuova generazione (
salute, ambiente, sicurezza…), valori desunti in particolare dalla lettura ragionata e coordinata degli
artt. 2, 13 e 32 Cost.Discende da ciò la contestuale valorizzazione del diritto “
fondamentale” degli “
altri” alla salute, appunto nella prospettiva dell’interesse “
solidaristico” collettivo.Quest’ultimo orientamento dovrebbe essere pienamente condiviso per riportare nell’alveo, nei limiti e nella convenienza del
bene comune la dilagante cultura dell’individualismo
pseudo-liberale, che pretende di ridurre la libertà alla mera soddisfazione edonistica di impulsi ciechi e sconsiderati.Non è infatti ragionevole pensare di estendere ed esaltare la libertà individuale fino a far ritenere chiunque autorizzato, ad es., a non pagare le
tasse, a vedere il
semaforo come impedimento alla propria libertà di movimento (magari con tanti saluti alla vecchietta travolta sulle strisce), a inquinare l’
ambiente rendendo l’ecosistema meno resiliente e sostenibile, o a… “
infettare” gli altri.Siffatti comportamenti sono espressione di una logica
egocentrica che inevitabilmente produce la società
liquida descritta da
Zygmunt Bauman e conduce alla disgregazione delle
formazioni sociali (
art. 2 Cost.), che dal basso innervano ogni comunità organizzata.Ciò spiega perché la nostra Costituzione, nel proclamare la
inviolabilità delle numerose
libertà positive (
artt. 13 , 14, 15, 16, 17,…), prevede, per tutte, eventuali restrizioni e/o limitazioni disposte da specifiche leggi del
Parlamento (e non dagli oltre finora
23 Dpcm del Pres. del Consiglio!); tutto ciò ovviamente per ragioni di
ordine pubblico, di
sanità, di
sicurezza o di
incolumità pubblica.Da queste fonti nasce anche la legittimazione (in genere condivisa) dei numerosi
lockdown, che di volta in volta impongono forti restrizioni soprattutto alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini (
art. 16 Cost.), nonché le pesanti limitazioni (meno condivise) alla libertà di iniziativa privata (
art. 41 Cost.).D’altra parte, la somministrazione massiccia di vaccini per obbligo di legge, quale trattamento sanitario
invasivo e problematico anche nella sua effettiva
praticabilità, viene a compromettere
in primis l’esercizio del
consenso libero e informato desumibile dal citato
art. 32 Cost. e previsto da numerose leggi ordinarie.Anche se è la stessa norma costituzionale a prevedere la possibilità di disporre per
legge trattamenti obbligatori “
nei limiti imposti dal rispetto della persona umana” (v.
Tso a carico di soggetti affetti da turbe psichiche, i citati vaccini d’obbligo a carico di
minori scolarizzati, ecc.).Ecco perché, da ultimo, il
Decreto-legge 5 gennaio 2021, n. 1, disciplina puntualmente le operazioni relative alla “
manifestazione del consenso al trattamento sanitario del vaccino anti Covid-19 per i soggetti incapaci ricoverarti presso strutture sanitarie assistite”.In ogni caso, l’arduo bilanciamento dei valori in argomento è funzione propria della mediazione politica, deputata anche ad escogitare arrischiate “
scorciatoie”; quale quella mirata a introdurre il
certificato (passaporto?) vaccinale, che abiliterebbe i cittadini vaccinati – tranne i soggetti esentati – a viaggiare anche all’estero, a frequentare palestre, ecc.La cautela del legislatore in materia sembra peraltro dovuta anche al fatto che tutte le citate restrizioni, bloccando le normali dinamiche di vita e di lavoro, causano danni più o meno rilevanti agli interessi economici di interi comparti professionali, produttivi, commerciali e di servizi.Consegue allora il dovere delle istituzioni di “
ristorare” adeguatamente (?) i soggetti danneggiati nell’adempiere ad imposizioni vincolanti per legge.
3. Posizione di garanzia del datore di lavoro
Forse anche per queste ultime ragioni, difettando comunque una adesione sociopolitica largamente condivisa, nonostante le
450 norme approvate nell’anno 2020 in materia di
Covid-19, il
Parlamento non è finora intervenuto a fissare l’obbligo vaccinale.Pertanto, i datori di lavoro (pubblici e privati) – stretti tra due fuochi – si interrogano sul comportamento da adottare, ad es., nei confronti dei lavoratori che immotivatamente rifiutino di sottoporsi allaprofilassi antiCovid, con il rischio di ammalarsi e di contagiare gli altri nei contesti lavorativi.Da un lato, infatti, i datori di lavoro sono portatori di un preciso
obbligo di garanzia in quanto tenuti anzitutto a garantire e
tutelare la
salute e la
sicurezza dei propri collaboratori.L’obbligo in questione è espressione della
responsabilità sociale di impresa e discende direttamente dal citato
art. 41 Cost. Il quale, nel proclamare la libertà della “
iniziativa economica privata”, puntualizza che quest’ultima “
non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.Peraltro, già prima della Costituzione, il chiaro e lungimirante
art. 2087 cod. civ. (del 1942) prescriveva (e prescrive) che “
l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.Queste misure di prevenzione sono altresì imposte da numerose successive normative e in particolare dalla
legge 20 maggio 1970, n. 300 (
Statuto dei lavoratori) e dal
Dlgv. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.Dall’altro lato, pur così vincolato, il datore di lavoro non può certamente
imporre ai lavoratori, di propria iniziativa, comportamenti limitativi delle libertà garantite nel citato catalogo costituzionale. Tantomeno – in difetto di una specifica legge
ad hoc – egli potrebbe
costringere i collaboratori a vaccinarsi, violando in tal modo il principio di
autodeterminazione di ogni persona.Tuttavia, se è vero che il vaccino non può essere imposto come generica clausola contrattuale, è pur sempre una
misura di prevenzione/protezione, senza la quale – nelle diverse situazioni – potrebbe scattare addirittura la
inidoneità del lavoratore alla sua specifica
mansione.Perciò, proprio in relazione all’emergenza sanitaria
Covid-19, essendo quest’ultima affezione morbosa inquadrata nella categoria degli
infortuni (causa
virulenta equiparata a quella
violenta), è intervenuta la
legge n. 40/2020. Il cui
art. 29 bis stabilisce che i datori di lavoro adempiono al dovere di sicurezza
ex art. 2087 cod. civ. mediante la puntuale applicazione del
Protocollo condiviso Governo-Parti sociali del
24 aprile 2020 (e successive modificazioni), nonché dei protocolli
locali e
aziendali.Pertanto, a prescindere dalla obbligatorietà o meno del vaccino nel rapporto tra lo Stato e i cittadini (o categorie di cittadini), il datore di lavoro è tenuto a
informare e
formare i collaboratori circa la necessità della vaccinazione nei luoghi di lavoro; magari elaborando specifica “
raccomandazione” al riguardo con il
medico competente e con gli altri rappresentanti interessati, formalizzando poi tale finalità nel contesto del
Protocollo integrativo aziendale.Tutto ciò quando – essendo il vaccino disponibile – tale profilassi si rivelasse indispensabile in forza di strette
ragioni organizzative e di obiettive situazioni di
inidoneità al lavoro (impossibilità del ricorso allo
smart working, spazi aziendali ristretti, ecc.).Intanto, alcuni interpreti sostengono che, nei casi appena citati, il
rifiuto immotivato da parte del dipendente può essere valutato sul
piano disciplinare, con il rischio per chi non si vaccina di finire in aspettativa senza retribuzione, evitando in tal modo anche al datore probabili ipotesi di responsabilità civili e penali. La bontà di questo orientamento trova indiretta conferma nella
sentenza n. 9 pubblicata il
13 gennaio 2021 del
Tribunale di Arezzo. Infatti, detto giudice ha disposto la reintegrazione in servizio di un dipendente ingiustamente licenziato perché, nell’esercizio del proprio diritto a svolgere la prestazione lavorativa in condizioni di sicurezza, non aveva ammesso nel negozio un cliente che rifiutava di indossare la mascherina, ciò con supposto danno economico del datore di lavoro, tenuto invece a imporre e garantire anzitutto la sicurezza e la salute.
Benito Melchionna
Procuratore Emerito della Repubblica