La narrazione biblica della pasqua nell’area dell’Angitola.

La narrazione biblica della pasqua nell’area dell’Angitola.
La storia di Dio finisce così come era cominciata. Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden vengono tentati a “mangiare la mela”, quindi a “disubbidire” e a “commettere il peccato”, e così facendo si sono fatti trascinare nella maledizione voluta dal tentatore.  La Maddalena, nella Resurrezione  di Gesù, si trova anche in un giardino, dove vi è la tomba vuota del Cristo, lei lo vorrebbe toccare, prendere per mano, ma rispetta il noli me tangere,(Gv 20,17) e così facendo riscatta l’umanità dalla umiliazione subita a causa di Eva. Maria Maddalena allora corre ad annunciare agli Apostoli quanto visto e sentito; Pietro e Giovanni corrono al sepolcro per verificare quanto riportato loro. È in sintesi quanto avviene scenicamente durante l’Affrontata, a Cunprunta o Cunfrunta (struttura teatrale di cultura spagnola) in cui il Risorto  compie quanto aveva promesso ai suoi (Gv 20,11-18). Nei paesi dell’angitolano tutto questo viene mentalmente storicizzato secondo tempi e circostanze  narrati nella tradizione popolare dal giovane Giovanni le cui  statue artistiche nei diversi paesi vengono portati da giovani nelle classiche volate trinarie o multiplo di tre, dal punto in cui è posizionata la statua della madre di Gesù ancora ammantata di nero e la statua del Cristo risorto che da li a poco la incontrerà  e il sublime diventa estasi, catarsi per tramite di una Madre gioiosa che toglie il nero manto del lutto e appare in quello celestiale. Momento scenico che in diversi paesi del vibonese prende il nome di svelata.  Ed ecco che Gesù riceve dai discepoli il titolo di Mashiah, in greco Cristo, un appellativo che nella tradizione ebraica era applicata al re, poi ai sacerdoti consacrati con l’unzione  ed infine al liberatore della discendenza di Davide. Da qui la denominazione di Gesù Cristo. Una regalità già segnata nel titulus posto sulla croce scritta nelle tre lingue più conosciute nel mondo  in cui Dio scelse la terra della Palestina per segnare, attraverso la storia del Figlio, quella dell’uomo proiettato a vita nuova. Storie multiple di un’epoca segnata dalla potenza di Roma e dalla tradizione giudaica che quattro narratori hanno raccolto e trasmesso al mondo con la centralità di Gesù, il quale come scrive san Paolo (2Cor 3,14) indica il passaggio dall’Alleanza antica all’’Alleanza nuova. Ed ecco che, nella tradizione popolare, tutto comincia dalla benedizione dei ramoscelli di ulivo e foglie di palme che saranno poi usate nei diversi paesi dell’Angitola a protezione dei covoni di grano per una annata propiziatoria,  dietro le porte delle case per scacciare i maligno. alcuni a Maierato usano ancora questi elementi per fare la pratica del malocchio.  E mentre tutto diventa misterico, la centralità passa dal rito dell’ultima cena quanto dallo strumento della passione ovvero la Croce identificabile come la bilancia del mondo le cui tradizioni segnano il calare della notte nei diversi paesi: Monterosso arricchite anche con l’incappucciato di rosso di lettura spagnola, quanto le processioni penitenti del cristo morto e delle diverse adorazioni della Croce e dei sepolcri. Matteo pare abbia scritto in aramaico, seppure gli scritti giunti a noi sono in lingua greca. Egli scriverà 80 anni dopo i fatti che sconvolsero la terra della teofania a causa della X legione “Fraternitas” che da Vibo Valentia fu inviata a sedare la rivolta in corso in Palestina. Al tempo di Gesù regnava il tetrarca Erode Antipa (4 a.C. – 39 d.C.). A partire dal 6 d.C., la Giudea, l’Idumea e la Samaria furono sottoposte alla diretta amministrazione romana esercitata attraverso un procuratore il Praefectus Iudaeae. Dal 26 al 36 d.C. fu Procuratore Ponzio Pilato sotto il cui mandato la storia dell’umanità cambiò corso nel nome del Figlio di Dio.

Al tempo di Gesù, la Palestina era un paese di ventimila chilometri abitata da pastori, mietitori: I campi biondeggiano per la mietitura (Gv 4,35), allevatori, pescatori, lavoratori ed artigiani della terracotta, del legno e del ferro; maestranze già raccontate nella Genesi. Molto diffusa era la coltivazione dei cereali, del grano e dell’orzo, quanto dell’ulivo, della vite e del fico. I frantoi, le forge, la battitura del pettine del telaio segnavano il tempo del lavoro che vedeva specifiche occupazioni al maschile e al femminile, seppure la tessitura riguardò anche abilità maschili.i

Il Sinedrio, composto da settanta unità più uno,  governava su questa gente in merito a decisioni politico e religiose, in riferimento ad azioni di guerra e di pace, amministrava la giustizia  e fondamentalmente si occupava dell’interpretazione della Legge. Sotto le aquile di Roma al Sinedrio fu concesso solo di occuparsi delle questioni religiose e del diritto civile. Tutto questo è narrazione scenica che come spettatori di un tempo infinito, con canti e processioni, ritualità e comportamenti l’Angitola diventa ogni anno terra del sacro raccontare la morte e la resurrezione di Cristo.

Prof  Pino Cinquegrana Antropologo