Il mondo del sacro attraverso i figurini

Il mondo del sacro da sempre ha affascinato il sentire popolare al punto che entrare nei misteri del divino rimane ancora oggi il sentimento primario dello stesso vivere nelle diverse relazionalità sociali: vita/morte, matrimoni/figli, destino/sogno, festa/ritualità. La cultura popolare interpreta e spiega i fatti sociali secondo quanto è destinato da Dio all’uomo. Ed ecco che la morte prematura o meno viene interpretata come se il tempo destinato per la vita del soggetto è finita: finiu l’ogghiu à lampa (l’olio destinato a dare luce alla vita dell’individuo è finito pertanto è giunto il tempo di riconciliarsi con il Padre). Matrimoni e viscuvati di lu cielu su destinati (il matrimonio della coppia quanto il diventare vescovo è il destino riservato – amore o fede a parte- direttamente dal Cielo). Tutto è destino nella vita dell’uomo conosciuto solo dall’Onnipotente e tutto dipende dal suo rapporto con il sacro, in questa direzione anche il proverbio  a santi non votari e a figghioli no promettiri ( non fare promesse ai santi come non farli ai bambini) anche perché non rispettandoli si cadrebbe nel peccato (verso il santo) e nel falso comportamento (verso il bambino). Santo e bambino sono visti qui come purezza e innocenza ai quali bisogna guardare con onestà e amore. Con i santi ci si relaziona nella preghiera, nell’atto votivo ed essi ricambiano attraverso i sogni come preavviso di quanto o cosa dovrà succedere al sognante. Santa Rita, Santa Elena, San Pasquale, San Giorgio, San Giovanni, San Gregorio e molti altri che invocati, nel sonno rivelano il significato di quanto sognato come dice il seguente proverbio: Santa Rita vergini zzita/l’anima ‘ncelu e u corpu a Gaeta/pe’ la tua santità/ pe’ la tua verginità/venimi nzonnu e dimmi la verità (L.M. Lombardi Satriani, 1982).  I santi, quindi, nel sentire popolare orientano, rivelano, divengono il legame umano con quello divino e diventato memoria nel lavoro agricolo nel cui direzione la paremiologia vibonese è molto ricca. Ecco qualche esempio: I san Leonardu sìmina ch’è tardu  (per san Leonardo – 26 novembre – sbrigati a  seminare perché è già tardi); I san Crimenti u bonu massaru avia finutu i simenti (per il giorno di san Clemente – 23 novembre- il bravo massaro aveva finito la semina). Il popolo ha bisogno di vincere la distanza che separa la loro vita dal sacro e di avvicinarselo attraverso forme materiali ed esperienze vissute. “Ciò che rende possibile la presenza del divino sono l’immagine mediatrice e lo spazio sacro: la Chiesa come luogo in cui si possono trovare raffigurazioni di Cristo della Madonna e dei santi, ma soprattutto il santuario, mediazione spaziale al sacro non solo nella memoria prodigiosa della sua origine ma anche in quanto custode di raffigurazioni considerate di particolare efficacia”. Al santo si possono chiedere grazie per intercessione, ma anche di agire per nome e per conto a risolvere problemi di qualunque natura: litigi, malanni, malattie per le bestie, che il dialetto angitolano risolve con il detto: mu nci penza Ddeu… (che ci pensi Iddio…). Manifestazioni umane, credenze, modus agendi del popolo vibonese devoto e ricco di fede (basta pensare alle numerose in onore di questo o quel santo quanto all’approccio relazionare con lo stesso fatto di canti e preghiere penitenti, segni di croce e offerte votive, processioni e momenti della festa). Santi e Madonne divengono il sentimento primario per affidare  le proprie sofferenze, le proprie necessità.  Ed ecco che i santi divengono protettori verso arti e mestieri, donne sposate e da marito, parti del corpo e malattie, tipologie di raccolto e animali, assumono in questa dimensione un ruolo preciso e interpretativo nell’umano agire, sempre pronto ad invocarli ancora a protezione di  pestilenze e terremoti, viaggi e altre quotidianità.

Dai primi secoli del cristianesimo l’idea di rifugiarsi nella identità di un santo patrono (santo speciale) ha coinvolto il neocristiano ad incontrarlo specialmente in quei luoghi dove era possibile venerare le reliquie del santo. A cominciare da Roma, con i santi Apostoli Pietro e Paolo, ogni comunità ha voluto dentro le proprie mura il suo santo custode, titolare, il Patronus , che nel linguaggio giuridico romano era sinonimo di pater gentis o  pater familias  e indicava colui che accettava sotto il suo patrocinio  sia i clienties (liberi) che gli ingenui ( schiavi affrancati. Nel vibonese la Santa Vergine, nelle diverse formulazioni: della “Neve”, degli “Angeli”, del “Soccorso”, delle “Fonti”, della “Catena”, della “Lettera”, della “Romania”, della “Provvidenza”, del “Carmelo”, mantiene il primato per devozione e santa Patrona, a seguire ci sono San Nicola, San Rocco di Montpellier, San Francesco di Paola, Sant’Antonio di Padova e poi via via altri santi che si richiamano al luogo (San Gregorio, San Costantino, San Cono ecc). Tale presenza del divino è poi vissuta nel quotidiano e negli ambienti ordinari della vita. Appese alle pareti della casa, o appoggiate sui comò, vi sono immagini sacre e oggetti, spesso acquistati nei santuari che ne mediano il rapporto terreno/divino.

 

Prof. Giuseppe Cinquegrana
antropologo