di Letizia Bonelli
Giornalista esperta in web reputation
I solchi dell’anima
I solchi dell’anima sono feritoie da cui filtra la luce di Dio.
Un graffio non è soltanto una ferita: è un segno.
Sulla pelle lascia una linea sottile, sull’anima una memoria più profonda. Ogni graffio racconta un urto, un incontro, una parola che non si è posata con delicatezza.
Le parole che incidono
Le parole possono ferire come lame invisibili.
Basta un gesto, un suono, un silenzio: ciò che per chi lo pronuncia sembra lieve, nell’altro diventa solco.
Verba volant, sed vulnerant.
Le parole volano, ma feriscono.
Il graffio come creazione
Eppure il graffio non è sempre distruzione.
Nell’arte diventa creazione: il pittore che incide la tela, lo scultore che scolpisce la pietra, il poeta che lascia sul foglio la sua impronta di dolore e bellezza.
In quel segno imperfetto si rivela la vita, che non è mai liscia, mai senza incrinature.
Dal dolore alla rivelazione
Alcuni graffi restano come l’olio: indelebili, penetranti, impossibili da cancellare.
Eppure, proprio quei graffi che sembrano imprigionarci possono trasformarsi. Il passato, se accolto, diventa feritoia da cui filtra una luce nuova.
Il graffio che ieri era dolore può oggi mutarsi in rivelazione, in ferita trasfigurata.
La luce divina, entrando nei nostri solchi interiori, non cancella i graffi: li eleva.
Lì dove c’era segno di caduta, può nascere un varco di resurrezione.
La scelta
Sta a noi decidere se i nostri graffi saranno cicatrici che imprigionano o tracce che conducono in alto.
Ogni graffio, illuminato dalla grazia, può diventare un sigillo di profonda luce interiore e di grande elevazione spirituale.
In fondo, il graffio più vero non è quello che lacera: è quello che svela il mistero fragile e sacro che abita ogni volto, aprendolo all’eterno.