L’eredità morale di Vittorio Sgarbi vive nella voce battagliera di sua figlia

di Monica Macchioni

C’è chi eredita una biblioteca, chi una poltrona, chi una fondazione. E poi c’è chi eredita un fuoco, uno stile, un modo d’essere. Evelina Sgarbi — sì, figlia di Vittorio — non ha (ancora) scritto trattati d’arte o duellato in Parlamento, ma porta addosso, quasi geneticamente, il carisma, la furia e l’irriverenza di suo padre.

Chi ha conosciuto davvero il “Vecchio Immenso” Sgarbi — amico di Grauso, dannunziano nel sangue e marinettiano nelle opere — sa che la sua più grande eredità non sta nei volumi che ha scritto, ma nella sua filosofia esistenziale: un modo di stare al mondo che rifiuta la passività, che ama il dissenso, che vive nella polemica ma per amore del principio.

Evelina, oggi, incarna questa eredità con sorprendente naturalezza. Gesticola come lui, si muove come lui, parla con lo stesso tono appassionato e diretto. Ma non è una copia, né una caricatura. È se stessa. E in questa autenticità trova forza. “Io so di aver fatto la cosa giusta – dice – e non getto la spugna”.
Davanti alle critiche, agli attacchi, alle insinuazioni, non si ritira. Si espone. E lo fa con la stessa incosciente audacia che ha reso celebre suo padre.

Chi oggi la osserva nei talk televisivi, o legge le sue dichiarazioni, trova in lei una forma nuova di opposizione: non quella ideologica o politica, ma quella intima, personale, affettiva. Evelina si espone pubblicamente per amore del padre, per proteggere un rapporto che rivendica come vero, diretto, non mediato. Non le piace la compagna di suo padre? Lo dice. Non riesce a parlargli senza “codazzo”? Lo racconta. Non accetta che un giudice le dica di tacere? Risponde.

È sola contro tutti? Forse. Ma non ha paura.
E in questo, la somiglianza con Sgarbi è evidente.
La sua non è una battaglia per la visibilità, ma per verità e giustizia — due parole che, quando pronunciate in un contesto borghese e ipocrita come certa Roma, sembrano quasi bestemmie. Ma sono le parole che Vittorio ha sempre difeso, con ogni mezzo.

È impossibile non pensare al Sgarbi che sfidava i giudici di Mani Pulite per difendere Craxi, o a quello che, insieme a Niki Grauso, violava l’embargo ONU negli anni ’90 per tentare la liberazione di due italiani prigionieri in Libia.
Due Cessna, una partenza da Lampedusa, zero permessi: più D’Annunzio che diplomatico. Eppure, riuscirono dove lo Stato ufficiale falliva. Un gesto simbolico, scomodo, per molti incomprensibile. Ma profondamente sgarbiano.

Come sgarbiano è oggi il modo in cui Evelina rifiuta il silenzio, la diplomazia, la strategia. Dice ciò che pensa. Rivendica il diritto a farlo.
Non sarà un’esperta d’arte, forse, ma ha lo stesso amore per la libertà, lo stesso rifiuto della mediocrità, lo stesso impulso alla verità che hanno guidato Vittorio per una vita intera.

In un’epoca in cui la politica si addolcisce e la comunicazione si appiattisce, Evelina spicca per la sua ruvida autenticità. È giovane, è diretta, è imperfetta. Ma è viva. E questa vitalità — nel bene o nel male — non si insegna, non si costruisce: si ha.

Gli sgarbiani d’Italia, oggi, possono tirare un sospiro di sollievo.
Non sono soli. Il fuoco è acceso. E ha un nuovo volto.