di Prof. Ing. Giuseppe Barba
Quando ho letto della tragedia accaduta a Napoli, dove tre operai sono morti cadendo in un pozzo durante lavori in un cantiere privato, ho provato un dolore profondo. Un senso di frustrazione, di sconforto.
Non solo come tecnico, ma come cittadino.
Perché chi, come me, dedica la vita professionale alla sicurezza nei luoghi di lavoro, sa bene quanto ogni morte bianca sia una ferita non solo per la famiglia coinvolta, ma per l’intera collettività.
Il sistema della sicurezza: norme che esistono ma non si applicano
Lavoro da anni come coordinatore della sicurezza nei cantieri, ma anche come consulente per la sicurezza per conto di enti pubblici come l’ASL. Questo significa che ho toccato con mano entrambe le dimensioni:
quella preventiva, che vivo ogni giorno nei cantieri;
e quella ispettiva, accanto alle autorità sanitarie nei controlli e nei sopralluoghi.
E posso dirlo con chiarezza: il sistema ha falle enormi.
Non mancano le leggi, manca l’applicazione concreta.
Non mancano gli obblighi, ma troppo spesso manca la volontà reale di rispettarli.
Il dramma del lavoro nero
Nel caso di Napoli – da quanto risulta dalle prime indagini – due dei tre operai lavoravano in nero.
È un fatto gravissimo, inaccettabile.
Il lavoro irregolare non è solo una piaga sociale ed economica: è un’aggravante tecnica e morale. Perché il lavoro nero esclude automaticamente chi lo subisce da qualsiasi tutela:
niente formazione,
niente visite mediche,
niente assicurazione.
In pratica: niente sicurezza.
Sicurezza non è burocrazia, è prevenzione
Ogni giorno, nei cantieri, io chiedo tutta la documentazione prevista dal Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/08):
il Piano Operativo di Sicurezza,
le attestazioni di formazione,
le idoneità sanitarie,
le nomine,
le verifiche dei requisiti tecnico-professionali.
Lo faccio con scrupolo, perché so quanto tutto questo non sia burocrazia, ma prevenzione vera.
Eppure, molto spesso, mi sento accusare di “bloccare i lavori”, di essere “troppo rigido”, di “fermare l’economia”.
Ma di fronte a queste tragedie, chi ha ancora il coraggio di dire che la sicurezza è un ostacolo?
La “patente a punti” non basta senza controlli reali
Negli ultimi mesi si parla molto della cosiddetta patente a punti per le imprese edili, introdotta come nuova misura per rafforzare i controlli.
Ma da tecnico esperto non posso non fare una riflessione amara:
La documentazione richiesta per ottenere e mantenere la patente è praticamente identica a quella già prevista da anni dal D.Lgs. 81/08.
Chi fa bene il proprio lavoro – come tanti colleghi seri e competenti – quelle verifiche le ha sempre fatte.
La verità è che non servono nuove carte, servono controlli veri.
Serve presenza, vigilanza, competenza sul campo.
Serve cultura della sicurezza.
Il valore dei controlli quando sono fatti bene
Come consulente ASL ho partecipato a numerosi sopralluoghi e ispezioni: conosco le difficoltà degli enti, la scarsità di personale, la complessità dei procedimenti.
Ma conosco anche l’impatto concreto dei controlli quando sono ben fatti: in molti casi, bastano pochi accertamenti per scoprire irregolarità gravi.
Quando mancano, invece, il sistema si affida alla sorte.
E a volte, la sorte si trasforma in tragedia.
Giustizia e dignità del lavoro
Non voglio entrare nel merito delle responsabilità specifiche di questo caso: ho piena fiducia nella magistratura, che saprà condurre le indagini necessarie, ricostruire i fatti e – mi auguro – arrivare alla verità.
Lo deve ai familiari delle vittime, lo deve alla dignità del lavoro.
Ma al di là delle sentenze, resta il fatto che non si può morire così.
Non in Italia, non nel 2025, non mentre si lavora.
Una sconfitta collettiva
Quando muoiono tre operai in un cantiere, è una sconfitta collettiva.
È il fallimento di un sistema che ha girato la testa dall’altra parte.
Di chi non ha voluto vedere, di chi ha finto di non sapere, di chi ha dato più valore alla rapidità e al risparmio che alla vita umana.
Il mio impegno, la nostra responsabilità
Io continuerò a fare la mia parte.
A pretendere sicurezza.
A chiedere documenti.
A bloccare i cantieri quando serve.
A offrire supporto agli organi di controllo, anche quando questo significa esporsi o ricevere critiche.
Perché ogni operaio che torna a casa la sera è una vittoria.
E ogni vita persa, una responsabilità che pesa su tutti.
Non si può morire così. Non deve più succedere.





















