Symposium: intervista ai magistrati Maurizio Ascione e Fabio Roia

«Più che mai è pressante l’esigenza che ispira la preziosa opera che qui presentiamo: l’esigenza di comprendere che oggi, a differenza di ieri, fare giustizia non vuol più dire occuparsi soltanto di criminalità comune o di criminalità organizzata, di furti o di mafia. Oggi vuol dire anche tutelare la sicurezza e la dignità dell’uomo negli ambienti di lavoro così come negli ambienti di vita»

Cons. Raffaele Guariniello

In occasione dell’evento Symposium, tenutosi in data 29 settembre 2023 presso la Triennale di Milano, la dott.ssa Giulia Di Loreto ha intervistato l’avvocato, magistrato e PM Maurizio Ascione, ospite del dibattito di presentazione del suo libro Questa capacità di sorridere e piangere. Questo testo risulta essere un importante scritto, che testimonia il suo impegno in materia di tutela dei cittadini a fronte di reati sul lavoro e malattie professionali, in particolare tumori derivanti dall’esposizione all’amianto. Nella stessa serata, come riportiamo, ha partecipato all’intervista anche il magistrato e Presidente Vicario del tribunale di Milano, attivo altresì presso l’Osservatorio Violenza sulle Donne, Fabio Roia. Riportiamo a seguire la trascrizione dei corrispettivi interventi.

[Giulia Di Loreto] Dott. Ascione, fin dalle prime pagine del suo libro si evince che prima ancora di diventare avvocato, magistrato e PM, ha sempre avuto un gran senso della giustizia, che l’ha accompagnata per tutto il corso della sua vita, diventando la sua vocazione anche attraverso il lavoro. Vorrei quindi chiederle, ci sono stati degli eventi o delle persone determinanti, che le hanno permesso negli anni di rafforzare questo suo senso della giustizia?

[Maurizio Ascione] Questo è un aspetto che ho affrontato anche nella prima parte del mio lavoro. C’è stata un’esperienza familiare abbastanza importante, della quale vado orgoglioso: ritengo di aver avuto la fortuna di trovarmi in una famiglia che – nonostante momenti burrascosi, comuni a tutte le famiglie – mi ha dato stimoli e motivazioni che poi progressivamente si sono definiti e andati a sviluppare a pieno quando sono venuto a contatto con l’ambiente esterno. Tutto ciò mi ha permesso di arricchire la mia persona. Ho ovviamente avuto a che fare, come cito nel libro, anche con avvenimenti che purtroppo hanno avvelenato, caratterizzato in maniera violenta e dolorosa alcuni anni della nostra storia recente, ricordo situazioni di venti o trenta anni fa.

[Giulia Di Loreto] Nel libro lei ha cercato di affrontare tematiche difficili tenendo sempre presente il punto di vista dei lavoratori e dei vari tipi di vittime, compresi i migranti, prendendo in considerazioni singoli individui così come intere comunità. Da un lato, come scrive, alcune leggi non esistevano e tuttora non esistono, dall’altro, anche qualora ci fossero, in alcuni casi non sono state applicate e fatte rispettare a dovere. Inevitabilmente ciò porta a impunità, a incentivi negativi nei confronti di chi è colpevole o corresponsabile, così come, da parte di chi è vittima e soffre, a percepirsi più vulnerabili, impotenti e non sufficientemente tutelati. In questo frangente, le chiedo, come cerca di porsi la giurisprudenza? Quali sono le difficoltà e anche le sfide, le responsabilità da affrontare in vista dei cittadini in questo preciso periodo storico ed economico?

[Maurizio Ascione] Uno dei fili conduttori del mio lavoro è stato di guardare come magistrato, ma in primis come uomo, un aspetto delle vicende processuali che purtroppo tante volte capita venga messo un po’ ai margini di queste esperienze giudiziarie. Parliamo spesso dell’imputato, delle sue garanzie e molto altro – tra cui di ciò che gli deve essere assicurato anche in matrice europea in fatto di presunzione di non colpevolezza -, ma ciò porta, per gioco-forza e forse inconsapevolmente, almeno secondo la mia esperienza, a tenere in secondo piano la considerazione della figura della vittima. Questo perché crediamo che la vittima, attraverso la costituzione di parte civile, oppure innestandosi direttamente in un procedimento civile, troverà la sua adeguata ristorazione, e noi dobbiamo limitarci a trattare in sede penale dell’imputato. Non è esattamente così. Un processo accusatorio in senso stretto e da un punto di vista formale è un processo che vede con altrettanta dignità e rilevanza la posizione della vittima. Da un punto di vista pratico invece, quando parliamo di questioni legate al lavoro, la vittima è colei che ha patito sulla propria pelle la sofferenza e che ha subito il torto, che si tratti di infortuni o malattie professionali: parliamo infatti di danni alla persona, della sua integrità fisica e psicofisica. Ciò che ho cercato di fare è mettere in luce come sia necessario focalizzarsi proprio sulla vittima, oltre che sull’imputato.

[Giulia Di Loreto] A tal proposito, mi sento di dirle di averparticolarmente apprezzato il suo libro anche perché il padre di un mio caro amico, che era operaio, è morto di recente proprio a causa di un tumore professionale.

[Maurizio Ascione] Cara Dottoressa, purtroppo per molto tempo la figura del magistrato si è posizionata in aula nei confronti presenti (imputati, avvocati, giudici) con un certo distacco, non solo morale – per consentire un agire propriamente integro -, ma anche, direi, topografico. Questo “stare dietro” a livello topografico, anche concettualmente e moralmente è la tradizione della nostra esperienza processuale. È proprio per questo che insisto su come ci sia bisogno, anche da parte nostra, di prendere in considerazione le vittime, le loro famiglie, parenti e cari di vario tipo, così come anche quelle associazioni che promuovono determinati valori giuridici, perché, parlando di processo accusatorio, davvero tutte le parti in causa dovrebbero avere analoga dignità processuale.

[Giulia Di Loreto] In questo testo lei è riuscito a trattare tematiche tanto importanti e impegnative grazie alla sua esperienza, menzionando anche aneddoti familiari. Ad esempio, mi ha colpito quando ha parlato di un episodio in cui sua figlia era in chiesa e di fronte al crocifisso ha pensato a come alleviare le pene di Gesù:

«Mia figlia è rimasta molto colpita dall’immagine del Crocefisso in chiesa, colpita da quel sangue che scorreva da ginocchia, polsi, dalla fronte, cinta dalla corona di spine. […] A più riprese mi ha chiesto dettagli e informazioni su quel Crocefisso, la spiegazione di quella sofferenza, la ragione di una tale condanna. […] Poi mi pare la bambina abbia chiesto cosa o come fare, per farlo scendere dalla croce. Sta di fatto che mia figlia, unica tra quelli della sua età, ha deciso di accodarsi tra una moltitudine incredula di adulti in un gelido sei gennaio, impugnando una candela accesa nel corso di una rumorosa processione cittadina, durante la quale ho potuto più volte sentire come la bambina intendesse così riportarsi a Gesù bambinodifenderlo, ricordarlo».

Ecco, come ha scritto anche lei, i bambini da un lato possono insegnarci molto sulla solidarietà tra persone, a prescindere da chi abbiamo davanti, dall’altro c’è il problema di riuscire a responsabilizzare i giovani e tramandare tutta una serie di gravi situazioni sociali, storiche e politiche, che nel corso delle generazioni rischiano di venire dimenticate – e con questo anche certi crimini. Secondo la sua esperienza, com’è possibile coinvolgere chi è giovane e colmare questa lacuna?

[Maurizio Ascione] Lei ha proprio centrato il tema, quando ha parlato poco fa di “memoria generazionale”. Questo libro, che parla di mie esperienze processuali, di morti da amianto e molto altro, in realtà alla fine tenta, modestamente, di trasmettere un messaggio di più ampia portata, per cui i modelli di società e quelli socioeconomici moderni debbono essere pensati – e costruiti – in una visione intergenerazionale e di “passaggio di mano”: dal nonno al papa, al figlio, al nipote e fino al pronipote. Pensiamo, ad esempio, alle problematiche ambientali, collegate al cambiamento climatico. Esso è sicuramente un fenomeno naturale ingovernabile e non sempre preventivabile, ma è anche il risultato, almeno in parte, di scelte (politiche, sociali, economiche), mi permetta di dire, egoistiche e miopi, che si interessano unicamente della realtà e l’impatto a breve termine, tralasciando appunto l’aspetto dell’eredità che verrà lasciata ai posteri. Secondo me, non solo come magistrato, ma anche e soprattutto come padre, le dico che questo è un errore molto grave, un atto di irresponsabilità non ammissibile e perdonabile.

[Giulia Di Loreto] Sono molto contenta che lei ne parli, perché purtroppo non molte persone della sua generazione riconoscono l’ascendente antropico nei confronti della natura, e quindi l’emergenza della questione climatica.

[Maurizio Ascione] Questa è una questione che affronteremo anche nel corso del dibattito, ma per completezza, dato che lei è collega umanista, le cito l’art. 9 comma 2 della Carta costituzionale, che appena l’anno scorso ha introdotto il concetto di ambiente come bene in sé da tutelare, anche sotto il profilo del vincolo intergenerazionale, espressione che ritroviamo già in altre carte sovra-nazionali dell’Unione Europea. La cultura politica, non solo italiana, sta infatti acquisendo progressivamente la consapevolezza, amara, di un grave errore storico commesso nel corso dei decenni, di progettare, pensare e realizzare le società in visioni di mero breve periodo; anche perché da un lato questo permette l’accaparramento immediato di beni e risorse, ma soprattutto dall’altro decreta nel medio e lungo termine il disastro delle nuove generazioni.

[Giulia Di Loreto] La prefazione, curata dall’ex magistrato Guariniello, spiega come il libro sia nato dall’esigenza di:

«far comprendere che oggi, a differenza di ieri, fare giustizia non vuol più dire occuparsi soltanto di criminalità comune o organizzata, furti o mafia. Ma anche tutelare la sicurezza e dignità dell’uomo negli ambienti di lavoro così come negli ambienti di vita».

Lei stesso ha parlato di infortuni, di malattie professionali (in particolare tumori e di tumori professionali legati ad amianto), di problematiche ambientali in qualità di natura che va tutelata, anche perché noi dipendiamo dai nostri ecosistemi e da essi dipende quindi la nostra sopravvivenza in senso stretto. Ha detto molto sul ricatto sociale, sul fatto che certe aziende, anziché tutelare il lavoratore, lo espongano a rischiare la propria salute e anche la vita, pena il licenziamento. In tal senso, come conciliare il diritto al lavoro e alla salute con situazioni di ineguaglianza sociale e, a livello economico, potremmo dire “di abuso di potere” (in altre parole, ricatto sociale) da parte di certe aziende?

[Maurizio Ascione] questo è un po’ il contraltare di quello che abbiamo detto finora. Come ho già detto, non è un problema solo italiano, ma una questione internazionale e comprendo anche che sia difficile cambiare assetto in breve tempo. Ma se si continua a non tenere al centro del progetto sociale e comunitario, della storia umana, la persona singola e l’essere umano in sé, ecco che la risposta non può essere il fallimento non solo di quello che viene realizzato, ma anche il rifiuto della natura stessa. Per il resto, le esperienze del nostro paese, da nord a sud – e lei è una persona molto intelligente ed esperta, per cui non ho bisogno di citarle nomi e cognomi a cui faccio riferimento -, ci dimostrano come tante volte sia venuto proprio a costituirsi in maniera plastica il fenomeno del ricatto sociale: io (azienda) ti (a te, lavoratore) faccio lavorare in condizioni di igiene e salubrità dell’ambiente che sono quelle che sono (precarie o insalubri), che tu (lavoratore) – o la magistratura – mi denunci per il livello pessimo, posso anche accettarlo, ma in quanto azienda debbo sostenere dei costi, mettendo mano al portafoglio e quindi rivedere tutta una serie di elementi, come i contributi salariali e la situazione occupazionale, ed è così, ad esempio, che, anziché tenere dodicimila operai, ne terrò settemila. La questione del ricatto sociale non è chiara in quanto spesso non viene concepito come un crimine esplicito, eppure è qualcosa che a livello morale diventa inconcepibile. Tornando al discorso, perché, visto che mi (a me, azienda) si chiede di tenere dodicimila persone a carico, mi venga allora consentito di continuare in tali condizioni, così che, dall’altra parte, tutti gli operai possano tenere il proprio lavoro e avere per la famiglia un piatto garantito a tavola. E la retorica è “cosa vuoi che sia, se viene fuori qualche tumore, tra qualche anno, magari a danno del figlio di qualche dipendente”. È così che vengono quindi a costituirsi delle zone grigie, anche perché è difficile che le stesse istituzioni ricostruiscano il nesso tra aziende e tumori professionali, essendo una materia di interesse sociale e giuridico abbastanza recente.

[Giulia Di Loreto] Dopo aver scritto il suo libro nel 2019, come si è sentito, rispetto alle aspettative e speranze che nutriva prima della sua pubblicazione? A livello sociale e giuridico ci sono stati dei passi avanti in questi anni? Cosa ne pensa della situazione attuale e cosa sente di lasciare e suggerire alle persone presenti qui stasera?

[Maurizio Ascione] noi sappiamo che delle cosiddette “morti bianche” si viene a conoscenza continuamente. Se il libro ha come obiettivo di fondo il voler denunciare tutta una serie di situazioni e comunicare la necessità di ripensare a livello profondo e serio al modo di progettare la società, perché possa costituirsi in modo compatibile all’ecosistema in fatto di sviluppo sostenibile, ecco che io, ahimè, non vedo in questi anni, dal 2019 ad oggi, grandi novità.

[Giulia Di Loreto] Dott. Roia, in riferimento alla materia trattata dal collega Maurizio Ascione nel suo libro, vorrei chiederle: come si pone la giurisprudenza in materia di diritto al lavoro e alla salute di fronte di quelle che possono essere situazioni di estorsione da parte di certe aziende ai danni del lavoratore per quanto riguarda quelle che sono le malattie professionale (ad esempio i tumori professionali legati all’amianto)?

[Fabio Roia] La giurisprudenza, secondo me, è doverosamente rigorosa e questo pone il problema della difficoltà di accertare, soprattutto sul piano del nesso causale, la responsabilità del singolo soggetto – in quanto la responsabilità penale è personale – rispetto a tutto il processo di sviluppo della malattia, perché purtroppo la criticità di talune sostanze è stata scoperta troppo recentemente rispetto alla situazione di esposizione. E quindi qui c’è un senso di frustrazione rispetto all’attesa di giustizia da parte delle vittime, perché molti dei processi, alcuni dei quali celebrati anche a Milano, inmerito di responsabilità professionale dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori ammalati nel corso del tempo sono stati definiti con sentenza assolutoria. Questo evidenzia il limite della giustizia penale, nel senso che essa è fondata su un accertamento rigoroso dei fatti, in questo caso sul ruolo del singolo imputato, l’accertamento del nesso causale e la malattia che poi ha determinato la morte del lavoratore. In tali casi, questo limite è andato a riflettersi sulla grande insoddisfazione da parte delle vittime e dei loro familiari. Abbiamo infatti un grosso problema di sicurezza sui luoghi di lavoro, che è un problema storico che si sta ri-attualizzando, ed è inaccettabile che un paese che si dica civile e avanzato come l’Italia abbia un alto numero di morti sul lavoro. Ciò presuppone quindi efficaci investimenti in materia di prevenzione e sicurezza, e devo dire che le aziende rispetto al passato si stanno attrezzando molto ma, secondo me, mancano ancora, per un discorso di impiego di risorse, efficienti sentinelle di controllo – penso ad esempio all’ispettorato del lavoro, ai luoghi deputati delle aziende sanitarie, che accertino le situazioni e “spie” di rischio della salute degli stessi lavoratori. Ciò deriva appunto dalla scarsità di personale agente sul territorio, per questo è necessario un importante investimento da parte delle classi politiche. 

[Giulia Di Loreto] Per quanto riguarda invece l’inquinamento ambientale da parte di certe aziende, potremmo dire che ad oggi la giurisprudenza italiana sia a buon punto o che ci sia ancoramolto da fare?

[Fabio Roia] La legislazione italiana è molto rigorosa sul punto e la giurisprudenza la sta seguendo. Il problema dell’inquinamento ambientale è di reato di pericolo, il cui accertamento diviene più semplice, specialmente quando questo inquinamento si interseca con la compromissione della salute umana, ritornando al nostro discorso di prima (e cioè l’accertamento del nesso causale). Questa intersezione è una delle aree più difficili di accertamento del diritto penale in generale. Devo dure che dal punto di vista di tutela dell’ambiente, secondo me, anche su un piano culturale c’è una maggior sensibilizzazione da parte di tutti noi. Il limite della risposta penale sta proprio nel fatto che non va demandata a lei l’intera sensibilizzazione sul tema, ma si deve trovare nelle forme di prevenzione (agenzie politiche, amministrazione, pubblica opinione, mass media, etc). Diviene così un bene comune che va vissuto insieme, tutti insieme, ribadendo che il bene della salute nella scala dei valori costituzionali si trova al primo posto. Di conseguenza, la salute, individuale o collettiva, è così sicuramente al primo posto.

[Giulia Di Loreto] Per tirare le fila di questo nostro scambio, le chiedo: per quanto riguarda ciò che abbiamo menzionato poco fa (es. tumori professionali, inquinamento e disastro ambientale), quindi situazioni-limite tra mancanza di leggi da un lato e dall’altro leggi presenti che talvolta non vengono applicate rigorosamente, secondo lei com’è possibile stare dalla parte delle vittime e di intere comunità che soffrono? Qual è la risposta che si potrebbe offrire da un punto di vista politico in tali situazioni?

[Fabio Roia] Io penso che probabilmente bisognerebbe trovare una forma di riparazione che prescinda dalla difficoltà di accertamento penale nei confronti dei parenti delle vittime. Sicuramente parliamo di una forma di risarcimento economico per una evidente necessità di supporto; quindi, penserei a esempi virtuosi di risarcimento come forma di indennizzo previste anche per altre situazioni, a livello regionale o addirittura statale o, ancora, della singola impresa, qualora vi fosse la disponibilità. Secondo me il vero tema è anche la formazione di quei lavoratori esposti per situazioni di fragilità, come la scarsa conoscenza della lingua italiana, se penso a quella richiesta di manodopera nei confronti di cittadini extra-comunitari. Vi sono poi settori più esposti, per cui abbiamo ad esempio cantieri e spazi di logistica in cui si verificano la maggior parte degli infortuni. Dunque, è importante sicuramente fare un lavoro serio di prevenzione e, in caso di incidente, pianificare una forma di indennizzo economico. Al di là di ciò, penso tuttavia anche a situazioni di giustizia riparativa. Ho in mente, ad esempio, imprenditori che hanno la capacità di chiedere scusa, a prescindere dell’accertamento di responsabilità, e credo che questa possa essere una buona via.

Dott.ssa Giulia Di Loreto
Filosofo