Don Enzo Bugea Nobile
L’uomo prima del santo
Sant’Agostino non nacque nella luce: fu uomo che attraversò le ombre. La sua vita è stata un lungo pellegrinaggio interiore, dalla vertigine dei sensi al silenzio della contemplazione, dalla superbia dell’intelligenza alla resa dell’anima.
Non un semplice teologo, ma un filosofo del cuore, un poeta del desiderio. Il suo segreto è custodito in una confessione che vibra come preghiera e grido:
“Fecisti nos ad Te, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te”
(“Ci hai fatti per Te, e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te”).
L’uomo interiore e la ferita del peccato
Per Agostino l’uomo è un abisso. Non basta conoscere il mondo per conoscersi: l’universo interiore è fatto di vertigini. Nel De Trinitate descrive l’anima come specchio del divino, immagine imperfetta della Trinità.
Eppure l’anima è attraversata da desideri contrastanti, da quella concupiscentia che piega verso il basso. Da qui la drammatica visione del peccato originale: l’uomo non è cattivo per natura, ma ferito, inclinato a sé stesso più che a Dio.
Eppure la ferita diventa porta: “Felix culpa”, colpa felice, perché la caduta apre la via alla Redenzione. L’uomo, senza Dio, rimane polvere; con Dio diventa luce che riflette la Luce.
L’amore come via
Tutto il pensiero agostiniano converge nella parola caritas: l’amore che ordina, che dà senso. La celebre frase “Ama e fa’ ciò che vuoi” non è libertà senza limiti, ma certezza che chi ama davvero non può che scegliere il bene.
Il cuore dell’uomo è campo di battaglia tra due amori:
amor Dei usque ad contemptum sui (amore di Dio fino al disprezzo di sé)
amor sui usque ad contemptum Dei (amore di sé fino al disprezzo di Dio).
Da questa tensione nascono le due città: la Città di Dio e la città terrena. Non luoghi, ma destini.
La nostalgia dell’eterno
Agostino vive una nostalgia che non guarda al passato, ma a ciò che deve ancora venire. L’anima è pellegrina, sempre in cammino, in attesa:
di un volto che nessun occhio umano può saziare,
di una pace senza tramonto,
di una verità che non si piega alle opinioni.
Per lui il tempo stesso è segno di questa tensione: passato e futuro vivono solo nel cuore, e il presente è un frammento che sfugge. Tutto, nell’uomo, è sete d’eterno.
Un santo ferito e vicino
Agostino non fu perfetto: peccatore, amante, ambizioso, retore vanitoso. Non nascose mai le sue cadute, le trasfigurò in testimonianza. La sua forza nasce proprio da questa fragilità: la santità non è assenza di ferite, ma trasformazione delle ferite in feritoie da cui passa la grazia.
Maestro universale
Agostino rimane universale perché ci consegna un pensiero che è insieme verità, poesia e preghiera. Ci ricorda che la vita è un ritorno: a sé stessi, al cuore, a Dio.
“In interiore homine habitat veritas”
(“Nell’uomo interiore abita la verità”).
Don Enzo Bugea Nobile





















