La nuova lettera pastorale di mons. Stefano Rega

di Pino Esposito

Tra i versetti più intensi dei Vangeli ce n’è uno in cui risuona, chiara e viva, la voce umana di Cristo. Nella lingua originaria, traslitterata dall’aramaico giudaico, pronuncia una parola semplice e solenne: ἐϕϕαϑά (o ἐϕϕηϑά nelle versioni greche), conservata nella Vulgata come ephphetha. Lo stesso evangelista Marco la traduce con Διανοίχθητι, imperativo passivo — in teologia definito “passivo divino” — che significa “sii aperto”. In latino diventa adaperire, forma rafforzata che evoca il gesto stesso dell’apertura (Mc 7,34). Non è un comando imposto all’uomo: è Dio che agisce, è Lui che apre, insieme al cielo.

Ed è proprio da qui che mons. Stefano Rega, vescovo di San Marco Argentano-Scalea, sceglie di partire nella sua nuova lettera pastorale per il 2025, Apriti cielo!. L’esortazione di Gesù al sordomuto — “Guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: Effatà, cioè: Apriti!” (Mc 7,34, edizione CEI Nuova Riveduta) — campeggia in epigrafe, diventando la chiave interpretativa dell’intero triennio pastorale.

Il titolo stesso, Apriti cielo!, gioca con il linguaggio comune ma lo rovescia: non l’esclamazione ironica o deprecativa, ma un invito poetico, musicale. Mons. Rega si ispira infatti alle liriche del cantautore Alessandro Mannarino, trascritte nel testo episcopale:

“Apriti cielo […] Apriti mare / e lasciali passare / non hanno fatto niente / niente di male”.

In quei versi, per anadiplosi, riecheggia l’affermazione evangelica “Ha fatto bene ogni cosa” (Mc 7,37), in un gioco di corrispondenze speculari e complementari tra parola sacra e parola artistica.

La citazione di Mannarino non è casuale: rimanda anche alla precedente lettera pastorale del 2023, Cristiani dell’oltre, dove mons. Rega aveva evocato l’immagine del mare per invitare i fedeli a “passare all’altra riva” (Mc 4,35). Oggi, quell’invito trova una nuova eco nella voce del cantautore: “lasciali passare!”. Un controcanto che fonde fede e sensibilità contemporanea.

Un linguaggio che si apre

Il vescovo sceglie di “aprire” il discorso pastorale anche a suggestioni cinematografiche e letterarie. Nella lettera cita la scena di guarigione del film Don Milani (1997, regia dei fratelli Frazzi), in cui un bambino sordomuto riacquista l’udito al comando “Apri!”. Sul piano letterario richiama invece l’opera della scrittrice coreana Han Kang, premio Nobel per la Letteratura 2024 (Nella notte buia il linguaggio ci chiede di cosa siamo fatti, Adelphi), riflettendo sul linguaggio come strumento di risveglio sensoriale e spirituale.

A questo ventaglio di riferimenti laici, mons. Rega affianca implicitamente un esempio emblematico: l’artista autodidatta sordomuto James Castle. Privo di alfabetizzazione e di conoscenza della lingua dei segni, Castle trovò nel disegno un linguaggio universale: fuliggine, inchiostro, carta riciclata e detriti divennero parole visive. Le sue opere, oggi esposte anche alla Biennale di Venezia e al Smithsonian American Art Museum di Washington D.C., rivelano una comunicazione capace di trascendere ogni barriera. In lui si manifesta quella soglia originaria e ultima — “l’Alfa e l’Omega” della parola — che va oltre la lettera, oltre la “B” che chiude simbolicamente l’alfabeto.

La comunicazione come teologia

La nuova lettera pastorale Apriti cielo! esplora dunque le vie infinite della comunicazione, inaugurando — con una formula suggestiva — una sorta di “teologia otorinolaringoiatrica”. Non si tratta di una provocazione ironica, ma di una prospettiva: la comunicazione stessa diventa luogo teologico, spazio in cui si rivela l’infinito.

Rileggendo la parabola marciana del sordomuto, mons. Rega intreccia la dimensione celeste e quella sensoriale, mostrando come “aprirsi” significhi accogliere la Parola e insieme riscoprire la capacità di ascoltare e parlare. È un passo ulteriore rispetto al documento precedente, dove il tema uditivo era già stato introdotto come “storia di cuori in ascolto”. Ora, nel 2025, questa riflessione si approfondisce nella questione della sordità — non solo fisica, ma spirituale e sociale — e nella possibilità di un ascolto che apre, come il cielo.