Don Enzo Bugea Nobile

L’amore che non dimentica

Don Luigi Guanella e il Dio che cammina tra gli uomini

C’è una forma d’amore che non si scrive nei libri, ma si imprime nel tempo come un profumo che non svanisce.
È l’amore che diventa gesto, carezza, presenza. È il cuore stesso di Dio che prende carne nelle mani dell’uomo.

Luigi Guanella è stato questo:
una voce di Vangelo tradotta in azione,
una carità che non teorizza ma costruisce,
un teologo del quotidiano che ha letto il dolore umano come un testo sacro.


Una carità che si china e ascolta

Nel mondo di chi corre, Don Guanella si fermava.
Nel mondo di chi predica, egli amava.

Non amò mai a distanza:
chinò il capo, si sporcò le mani, si lasciò trafiggere dal grido dei poveri, dei malati, dei dimenticati.
La sua fede non era un concetto, ma una relazione.
Era pietas operosa, carità in cammino, amor Dei che si riversa come acqua viva nei solchi aridi del mondo.

Quando guardava un sofferente, vedeva Cristo.
Quando ascoltava un emarginato, riconosceva il Figlio dell’Uomo che non ha dove posare il capo.
La sua teologia nasceva dalle lacrime: una teologia che non spiega, ma consola.


Costruire templi di volti

Ogni opera guanelliana è una costruzione teologica. Non di pietra, ma di volti.
La casa del disabile, il rifugio del povero, la scuola del ragazzo abbandonato: erano templi abitati da Dio stesso.

Perché la carità, se è autentica, è sacramento: signum efficax gratiae.
Attraverso la bontà, Dio diventa tangibile, e l’uomo diventa teologo suo malgrado.

Don Guanella non discuteva Dio: lo serviva.
E così lo capiva, più di tanti filosofi.
La sua mente non cercava concetti, ma incontri.
Sapeva che la verità non è possesso ma abbraccio, non definizione ma comunione.

In lui si compiva ciò che Sant’Agostino intuì:

“Ama et fac quod vis” — Ama e tutto troverà ordine.


La filosofia del cuore

C’è una logica che solo il cuore comprende. Don Guanella la conosceva bene.
Il cuore, diceva, “sa ciò che la mente ignora e la volontà non osa”.

La filosofia del cuore è la forma più alta di conoscenza:
nasce dall’amore e sfocia nella libertà.

Amare è rischiare, esporsi, perdersi per ritrovarsi in Dio.
E questo Don Guanella lo visse fino in fondo:
l’amore come perdita di sé per un guadagno eterno.

Il suo pensiero non fu mai accademico. Fu sapienza.
Quella sapientia cordis che non si insegna nei seminari, ma si riceve ai piedi della Croce,
dove la logica del mondo si rovescia e la “follia della carità” diventa verità suprema.


La carità come destino

Il mondo ha bisogno di cuori come il suo: liberi da ogni calcolo,
capaci di vedere in ogni uomo un frammento di eternità.

La carità, per Don Guanella, non era un dovere ma un destino.
Non un progetto ma un modo di respirare.

E in questo sta la sua teologia più profonda:
credere significa lasciar passare attraverso di sé la compassione di Dio.
Non servire per sentirsi buoni, ma per restituire senso alla vita di chi l’ha perduto.

“Non c’è miracolo più grande del far sentire amato chi si crede inutile.”

Questo era il suo Vangelo.
Non scritto, ma vissuto.
Non proclamato, ma incarnato.


Povertà come chiamata

Don Guanella insegnò che il povero non è un problema da risolvere, ma una chiamata da accogliere.
Nel povero, Dio ti invita a spogliarti delle illusioni e a toccare il mistero.
Nella povertà si cela il Regno:

“Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum.”

Chi ha il coraggio di farsi povero per amore diventa simile a Cristo.
E chi serve i poveri non fa beneficenza: compie teologia.
Perché là dove l’uomo ama, Dio abita.
E dove Dio abita, il cielo non è lontano.


Un messaggio per oggi

Nel silenzio rumoroso della modernità,
il messaggio di Don Luigi Guanella è più urgente che mai:
ritornare umani.

Ritrovare la tenerezza come forma di giustizia.
Ricominciare dal volto, dall’ascolto, dall’abbraccio.

Ogni volta che un uomo rialza un altro uomo, Cristo risorge.
Ogni volta che qualcuno sceglie di amare senza misura, Don Guanella torna a camminare tra noi.

E se oggi qualcuno mi chiedesse cos’è la teologia, risponderei così:
è imparare a guardare il mondo con gli occhi di Don Guanella,
che seppe riconoscere Dio nel più piccolo,
e fece della carità un atto di fede, dell’amore un pensiero, dell’umiltà una profezia.

Caritas Christi urget nos.
(È l’amore di Cristo che ci spinge.)