Giuseppe Spatola Idolatra

Giuseppe Spatola, sia dal punto di vista poetico che tecnico, spazia dall’innovazione plastica immaginaria, più spinta, alle alterazioni formali, tipiche di un’arte che guarda al futuro del tutto insofferente per il passato, ma anche per il presente. Comunque, il cuore di questo maestro è la ricerca, come espressione di un laboratorio di sperimentazione, che non si pone il problema del risultato, ma metaforizza il percorso del “fare”, caratterizzandosi come coraggiosa estensione antropologica della cultura di crisi, in cui il vero sapere è il sapere di non sapere, il vero fare è la consapevolezza dell’invenzione continua, di corpi, bestie inquietanti, marchingegni scultorei da sacrilegio, che di per sé non sarebbero nuovissimi e mai visti, ma realizzati alla Spatola fanno un certo effetto disarmante. Testimoniano, di un eclettismo, sempre più trasversale e soprattutto di una psicologia della visibilità che, nel perdere di virtualizzazione del mondo, diventa sintassi dell’invisibile, che si annuncia senza pudore, come una cartolina da parodiare, come un vecchio altoparlante, dato “solo in lettura”, come un orso polare del tutto spaesato. Opere, quelle di Spatola, che costituiscono un fatto entropico in via d’espansione, che non ha più l’arroganza delle avanguardie storiche, intolleranti, o delle neoavanguardie, terroristiche e millantatrici, ma si definiscono come una parte del tutto, una ricerca “pura”  e originale, perché influisce sulle coordinate dello spazio e del tempo, proprio adesso che da più parti, si teme uno spazio senza spazio e un tempo senza tempo. E questo, nelle metamorfosi archetipiche di Spatola, affascina e inquieta.

 

Pasquale Lettieri
Critico d’arte