Di Monica Macchioni

Un tempo i castelli erano fortezze chiuse, costruite per difendersi dal mondo. Sorgevano in luoghi isolati, protetti da fossati e mura invalicabili, simboli di un potere che si nutriva di isolamento e autosufficienza.

Oggi, però, c’è un castello che ha scelto di rovesciare questa logica e aprirsi all’esterno. Il Castello Sforzini di Castellar Ponzano non innalza più barriere: le abbatte. L’obiettivo è trasformarlo in una moderna “Camelot d’Italia”, un laboratorio di idee in cui la tradizione incontra la spinta al rinnovamento, e la bellezza assume un valore civile e politico.

Il proprietario, Luca Sforzini, si definisce un mecenate contemporaneo. Appassionato di arte e cultura, ha scelto di mettere il suo maniero al servizio del territorio, trasformandolo in un luogo di confronto libero e aperto. Qui si parla di radici, identità, ma anche di contaminazioni culturali, incontri e nuove sintesi possibili.

Di recente il castello ha ospitato un incontro riservato che ha riunito quattro realtà locali vicine a posizioni sovraniste e identitarie, provenienti da diverse province di Lombardia e Piemonte. L’obiettivo dichiarato: costruire una rete di pensiero alternativa e patriottica. All’incontro, aperto anche a personalità indipendenti, erano presenti figure note in questi ambienti.

Tra gli intervenuti: Roberto Jonghi Lavarini, figura storica della destra identitaria; la contessa Lali Panchulidze, presidente di ACIGEA e vicepresidente di Aristocrazia Europea; e Giovanni Trombetta, esperto di finanza e geopolitica, presidente del circolo culturale R360, ispirato alle teorie multipolari di Aleksandr Dugin.

La contessa Panchulidze, vicina al movimento conservatore Sogno Georgiano e al sindaco di Kakha Kaladze, ha annunciato che nella prossima primavera organizzerà nel castello eventi cavallereschi e nobiliari di respiro internazionale. Visti i suoi contatti nel mondo diplomatico e araldico, il Castello Sforzini potrebbe diventare un nuovo crocevia europeo per iniziative culturali e mondane di area conservatrice.

Dalle contaminazioni di queste reti potrebbe nascere un circolo di respiro multipolare, capace di superare i confini regionali — e forse anche nazionali — per farsi notare sulla scena europea.

Un progetto ambizioso, che punta a fare del castello non più un luogo chiuso, ma uno spazio simbolico in cui cultura, politica e identità si intrecciano e si confrontano.