di Letizia Bonelli
Giornalista esperta in web reputation
Viviamo immersi nella retorica della parità. È il mantra del tempo moderno: “siamo uguali, uomini e donne, davanti alla legge, nel lavoro, nella vita”, eppure, appena cala il sipario delle dichiarazioni pubbliche, la realtà torna a mostrarsi nuda, la parità è ancora una promessa tradita.
Dietro gli slogan, la donna continua a pagare il prezzo più alto, la sua voce è tollerata, ma non sempre ascoltata; la sua presenza è celebrata, ma spesso svuotata di potere reale.
Ogni novembre, il calendario ci ricorda la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Si accendono luci, si organizzano convegni, si pronunciano discorsi. Eppure, ogni anno, le cronache si tingono di rosso: nomi, volti, storie spezzate, non sono numeri, sono assenze che gridano.
Ogni donna uccisa è il segno di una società che non ha ancora imparato ad amare senza possedere, a rispettare senza dominare.
C’è una violenza più sottile, invisibile, che non lascia lividi ma lacera l’anima, quella delle parole, dei giudizi, delle esclusioni. La violenza del “non vali abbastanza”, del “sei troppo emotiva”, del “devi accontentarti”,è la violenza che ti toglie la voce prima ancora che tu la usi.
Abbiamo costruito una parità di superficie, fatta di slogan e mimose, ma la dignità femminile non si conquista con le celebrazioni, si afferma ogni giorno, in silenzio, nelle scelte, nella resistenza, nella capacità di rialzarsi.
Non basta dire “parità” bisogna viverla, incarnarla, pretenderla,
e soprattutto, bisogna alzare la testa.
Le donne non devono permettere a nessuno di abbassargliela né per amore, né per paura, né per convenienza.
La filosofia ce lo insegna da secoli, la libertà non si mendica, si esercita e la libertà femminile non è opposizione all’uomo, ma pienezza dell’umano. È la possibilità di essere intere, senza dover chiedere permesso.
Quando una donna cammina a testa alta, non lo fa solo per sé, ma per tutte quelle che non possono più farlo.
È un atto politico e spirituale insieme è dire al mondo “io sono”, senza bisogno di giustificazioni.
Le donne non chiedono privilegi, chiedono rispetto, non vogliono potere sugli altri, ma potere su sé stesse,e questo, forse, è ciò che più spaventa: la forza silenziosa di chi non ha bisogno di gridare per esistere.
Ogni novembre dovremmo ricordarci che la parità non è un anniversario, è una responsabilità collettiva,
e ogni donna, anche quando è ferita, tradita o umiliata, ha dentro di sé un seme invincibile: la dignità, quella che nessuno può toccare, quella che non muore mai.
Forse arriverà il giorno in cui non serviranno più giornate, leggi o proclami, arriverà quando non ci sarà più bisogno di spiegare che la donna non è “il secondo sesso”, ma la metà luminosa dell’umano.
Fino ad allora, continuiamo a scrivere, a parlare, a ricordare e soprattutto, a camminare a testa alta.
Perché nessuna libertà nasce dal silenzio, e nessuna uguaglianza può fiorire dove la dignità è calpestata.