di Don Enzo Bugea Nobile
San Francesco non fu un uomo del passato, egli rimane, oggi, una ferita e una luce, ferita, perché ricorda al mondo la nudità del Vangelo, che non si lascia ingabbiare nei nostri compromessi; luce, perché testimonia che l’uomo può ancora scegliere la libertà dell’amore, il coraggio della fraternità e la gioia della minorità. Non si può comprendere Francesco se non alla luce del Crocifisso di San Damiano, che gli parlò: “Va’, ripara la mia casa”. In quell’invocazione c’è il cuore della sua vocazione, non costruire templi di pietra, ma ricostruire i cuori, non fondare potere, ma sciogliere catene, non accumulare, ma svuotarsi.
La sua fede è un inno vivente alla semplicità, Dio è l’Altissimo, eppure si è fatto piccolo. Nella grotta di Greccio, Francesco non inventa un rito nuovo, ma mostra con la forza dei gesti che l’Eterno ha scelto la via della mangiatoia e nell’abbraccio al lebbroso ci insegna che ogni volto sofferente è sacramento, imago Dei che attende di essere riconosciuta.
San Francesco di Assisi non fu un romantico ingenuo, ma un uomo radicale, amò la povertà non perché essa fosse bella, ma perché libera, amò la creazione non per idolatria della natura, ma per la trasparenza che essa custodisce di Dio: fratello sole, sorella luna, lupi e gigli, acqua limpida e vento leggero, tutto grida lodi all’Altissimo.
Francesco è attualissimo, in un mondo che misura l’uomo sul possesso, egli grida che la vera ricchezza è l’essere,in un tempo che frammenta, egli ricorda che siamo fratelli tutti, il diverso, lo straniero, il nemico, la creatura che abita la terra insieme a noi. In un’epoca che teme il silenzio, ci insegna che solo nel raccoglimento si ascolta la voce che salva.
Il suo Cantico delle Creature non è poesia estetizzante, ma teologia cantata, è il riconoscimento che la vita non appartiene a noi, che la morte stessa è sorella, perché non spegne la luce ma la consegna all’Eterno. San Francesco resta una domanda ardente: siamo capaci di vivere con meno per amare di più? Siamo pronti a lasciare le corazze dell’ego per abbracciare l’altro, così com’è? Il suo messaggio non è un ricordo agiografico, ma una chiamata esistenziale che ci tocca, qui e ora.
Forse la santità è tutta in questa lezione francescana, non avere nulla, per avere tutto; non essere nessuno, per appartenere a Tutto.