POST PANDEMIA, DALL’IO AL NOI

Non sempre cambiare equivale a migliorare,

ma per migliorare bisogna cambiare.

Winston Churchill

1. La necessità di relazionarsi

Quando veniamo al mondo, già al primo impattoincontro con la realtà realizziamo che non sarà una passeggiata.

Senza volerlo, ci ritroviamo infatti immersi nella solitudine di una natura matrigna, che – mentre ci nutre – espone a continui rischi la  nostra stressa sopravvivenza.

Dato però che, come sosteneva Aristotele, l’uomo è per tendenza animale sociale, intervengono forze aggregatrici e meccanismi idonei a mettere in relazione (cioè a unire) gli individui con l’obiettivo di collaborare e integrarsi tra loro.

A questo scopo è comunque richiesto che tutti gli elementi di socializzazione, fisici e psicologici (visibili e invisibili), siano tenuti insieme dalla coesione solidale garantita anzitutto dalle leggi della sostenibilità dell’ambiente e della resilienza delle risorse materiali.

Tali principi sono ora mortalmente minacciati da un dissennato non più sostenibile modello di sviluppo.

Un sistema che, essendo tutto centrato su logiche mercantili e sul dominio corruttivo del denaro, in realtà non cura più di tanto le relazioni umane e neppure si fa carico della tutela dei fragili ecosistemi che preservano la biodiversità naturale e quindi la vita.

Tutto ciò avviene in plateale contraddizione con i ripetuti richiami alla solidarietà e agli obiettivi, spacciati dall’ennesimo “green deal” europeo e dai vari trattati, volti a contrastare – solo sulla carta – i gravi disastri del cambiamento climatico e a completare la neutralità energetica entro il 2050.

Peraltro, come spiegano l’antropologia, la psicologia e la religione, è necessario costruire relazioni e cioè “ponti” (da cui Pontefice) tra gli esseri umani. Infatti, essendo gli uomini “rivali” per competizione individuale e per ingordigia, si impone il difficile raggiungimento della pace (da pax, pactum, patto), intesa quale presupposto dell’ordine civile garantito dal “patto sociale”, già teorizzato dal filosofo inglese Thomas Hobbes nel suo Leviathan (1651).

Peraltro, i legami che uniscono le persone e le diverse comunità sono sempre condizionati da un insondabile e instabile intreccio di complesse motivazioni. Le quali sono orientate da mappe cognitive, disegnate dalle sinapsi e dai neuroni cerebrali progettati dalla natura anzitutto per selezionare i vantaggi e le opportunità degli scambi e delle utilità materiali.

Interagiscono nel contempo le mappe emotive che percepiscono e interpretano “da dentro” gli eventi della vita, collegandoli alle emozioni, al sentimento etico e al bisogno di spiritualità (religione significa appunto mettere in relazione, unire terra e cielo).

L’intesa tra i due schemi cognitivi (mentali e psicologici) è in grado di indicarci la strada nella scelta tra bene e male, e ci indirizza al culto dell’estetica e del bello, anche se quest’ultimo è spesso futile e fine a se stesso, in specie nella civiltà dell’apparire.

Da questo mirabile intreccio nascono la beata inquietudine e i dolorosi contrasti che scandiscono le passioni (da patior, patire).

Così che, fortificata dai vincoli affettivi, l’esperienza umana riesce a districarsi tra le lusinghe e le insidie che si manifestano nel convulso divenire della storia individuale e collettiva.

2. L’era dei legami virtuali

La cultura del passato sintetizzava con mordace semplicità il codice degli scambi e della permuta dei beni – compresa finanche la santità in vista della salvezza – attraverso il motto “do ut des” (do perché tu mi dia).

In quel contesto i legami affettivi, familiari e di prossimità, erano praticati in presenza seguendo rituali essenziali modellati da stratificate convenzioni.

Certamente, in molti casi, non erano rose e fiori; ma in genere i rapporti erano stabilizzati dalla fiducia reciproca, resa manifesta anzitutto dal linguaggio diretto ed espressivo del corpo.

Le relazioni sociali erano poi regolate da rigorose clausole di reciprocità. Il cui rispetto era garantito – in specie nei circoscritti ambienti rurali – da un marcato controllo sociale, fondato sui valori condivisi del prestigio e dell’onore (spesso solo di facciata).

Nel passaggio epocale della transizione digitale e all’alba di un tempo nuovo, caratterizzato da passioni solitarie orientate al consumismo edonistico da supermercato, le relazioni “dal vivo” risultano sostituite da incontri virtuali, che circolano attraverso i social all’insegna di un “noi” certamente poco autentico.

Pertanto, in una società che haliquidato tutti i vecchi riti della convivenza e nella indifferenza e nel silenzio calati tra le persone, i primi a sfilacciarsi sono proprio i legami di prossimità.

Inoltre, quanto alla socializzazione, gli analisti registrano un cortocircuito che tende a spegnere la comunicazione, a suo tempo illuminata dalla (pur conflittuale) partecipazione attiva in presenza.

La realtà, governata dagli algoritmi e “aumentata” dalla telematica e dalle nuove protesi tecnologiche, offre oggi infinite potenzialità e notevoli comfort: velocizzazione dei servizi, accelerazione degli scambi, inclusione sociale, evoluzione dei costumi, affrancamento dalla fatica e da molte malattie, adeguamento in tempo reale al mondo della complessità informativa, ecc.

È anche certo però che la pervasività dell’elettronica “connettiva”, oltre a raffreddare le emozioni, viola costantemente la nostra riservatezza (privacy) e crea nuovi problemi sul piano della stabilità sociale (fake news, odio in rete, cybercrimes, intrusioni illecite di hacker, guerre commerciali…).

Intanto, mentre i borghi antichi tendono a svuotarsi, nella società di massa, sempre più concentrata in poche metropoli (città-stato abitate da oltre 10 milioni di persone), nessuno ti dà retta.

Ognuno infatti viene prima di te e tutti hanno fretta di immergersi nella dipendenza del web (il cosiddetto “effetto grotta”).

Ora poi le misure di isolamento e di distanziamento, che tutti soffriamo da lungo tempo in stato di paura e nel reciproco sospetto di contagio da Sars-Co-2, hanno radicalizzato la solitudine da tastiera (didattica a distanza-Dad, webinar, smartworking, ecc.).

Da ciò l’accentuarsi della povertà educativa (espressiva, linguistica e relazionale) e il pesante disagio dei nativi digitali, non più accompagnati nel loro accidentato cammino formativo.

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Non sempre cambiare equivale a migliorare,

ma per migliorare bisogna cambiare.

Winston Churchill

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1. La necessità di relazionarsi

Quando veniamo al mondo, già al primo impattoincontro con la realtà realizziamo che non sarà una passeggiata.

Senza volerlo, ci ritroviamo infatti immersi nella solitudine di una natura matrigna, che – mentre ci nutre – espone a continui rischi la  nostra stressa sopravvivenza.

Dato però che, come sosteneva Aristotele, l’uomo è per tendenza animale sociale, intervengono forze aggregatrici e meccanismi idonei a mettere in relazione (cioè a unire) gli individui con l’obiettivo di collaborare e integrarsi tra loro.

A questo scopo è comunque richiesto che tutti gli elementi di socializzazione, fisici e psicologici (visibili e invisibili), siano tenuti insieme dalla coesione solidale garantita anzitutto dalle leggi della sostenibilità dell’ambiente e della resilienza delle risorse materiali.

Tali principi sono ora mortalmente minacciati da un dissennato non più sostenibile modello di sviluppo.

Un sistema che, essendo tutto centrato su logiche mercantili e sul dominio corruttivo del denaro, in realtà non cura più di tanto le relazioni umane e neppure si fa carico della tutela dei fragili ecosistemi che preservano la biodiversità naturale e quindi la vita.

Tutto ciò avviene in plateale contraddizione con i ripetuti richiami alla solidarietà e agli obiettivi, spacciati dall’ennesimo “green deal” europeo e dai vari trattati, volti a contrastare – solo sulla carta – i gravi disastri del cambiamento climatico e a completare la neutralità energetica entro il 2050.

Peraltro, come spiegano l’antropologia, la psicologia e la religione, è necessario costruire relazioni e cioè “ponti” (da cui Pontefice) tra gli esseri umani. Infatti, essendo gli uomini “rivali” per competizione individuale e per ingordigia, si impone il difficile raggiungimento della pace (da pax, pactum, patto), intesa quale presupposto dell’ordine civile garantito dal “patto sociale”, già teorizzato dal filosofo inglese Thomas Hobbes nel suo Leviathan (1651).

Peraltro, i legami che uniscono le persone e le diverse comunità sono sempre condizionati da un insondabile e instabile intreccio di complesse motivazioni. Le quali sono orientate da mappe cognitive, disegnate dalle sinapsi e dai neuroni cerebrali progettati dalla natura anzitutto per selezionare i vantaggi e le opportunità degli scambi e delle utilità materiali.

Interagiscono nel contempo le mappe emotive che percepiscono e interpretano “da dentro” gli eventi della vita, collegandoli alle emozioni, al sentimento etico e al bisogno di spiritualità (religione significa appunto mettere in relazione, unire terra e cielo).

L’intesa tra i due schemi cognitivi (mentali e psicologici) è in grado di indicarci la strada nella scelta tra bene e male, e ci indirizza al culto dell’estetica e del bello, anche se quest’ultimo è spesso futile e fine a se stesso, in specie nella civiltà dell’apparire.

Da questo mirabile intreccio nascono la beata inquietudine e i dolorosi contrasti che scandiscono le passioni (da patior, patire).

Così che, fortificata dai vincoli affettivi, l’esperienza umana riesce a districarsi tra le lusinghe e le insidie che si manifestano nel convulso divenire della storia individuale e collettiva.

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2. L’era dei legami virtuali

La cultura del passato sintetizzava con mordace semplicità il codice degli scambi e della permuta dei beni – compresa finanche la santità in vista della salvezza – attraverso il motto “do ut des” (do perché tu mi dia).

In quel contesto i legami affettivi, familiari e di prossimità, erano praticati in presenza seguendo rituali essenziali modellati da stratificate convenzioni.

Certamente, in molti casi, non erano rose e fiori; ma in genere i rapporti erano stabilizzati dalla fiducia reciproca, resa manifesta anzitutto dal linguaggio diretto ed espressivo del corpo.

Le relazioni sociali erano poi regolate da rigorose clausole di reciprocità. Il cui rispetto era garantito – in specie nei circoscritti ambienti rurali – da un marcato controllo sociale, fondato sui valori condivisi del prestigio e dell’onore (spesso solo di facciata).

Nel passaggio epocale della transizione digitale e all’alba di un tempo nuovo, caratterizzato da passioni solitarie orientate al consumismo edonistico da supermercato, le relazioni “dal vivo” risultano sostituite da incontri virtuali, che circolano attraverso i social all’insegna di un “noi” certamente poco autentico.

Pertanto, in una società che haliquidato tutti i vecchi riti della convivenza e nella indifferenza e nel silenzio calati tra le persone, i primi a sfilacciarsi sono proprio i legami di prossimità.

Inoltre, quanto alla socializzazione, gli analisti registrano un cortocircuito che tende a spegnere la comunicazione, a suo tempo illuminata dalla (pur conflittuale) partecipazione attiva in presenza.

La realtà, governata dagli algoritmi e “aumentata” dalla telematica e dalle nuove protesi tecnologiche, offre oggi infinite potenzialità e notevoli comfort: velocizzazione dei servizi, accelerazione degli scambi, inclusione sociale, evoluzione dei costumi, affrancamento dalla fatica e da molte malattie, adeguamento in tempo reale al mondo della complessità informativa, ecc.

È anche certo però che la pervasività dell’elettronica “connettiva”, oltre a raffreddare le emozioni, viola costantemente la nostra riservatezza (privacy) e crea nuovi problemi sul piano della stabilità sociale (fake news, odio in rete, cybercrimes, intrusioni illecite di hacker, guerre commerciali…).

Intanto, mentre i borghi antichi tendono a svuotarsi, nella società di massa, sempre più concentrata in poche metropoli (città-stato abitate da oltre 10 milioni di persone), nessuno ti dà retta.

Ognuno infatti viene prima di te e tutti hanno fretta di immergersi nella dipendenza del web (il cosiddetto “effetto grotta”).

Ora poi le misure di isolamento e di distanziamento, che tutti soffriamo da lungo tempo in stato di paura e nel reciproco sospetto di contagio da Sars-Co-2, hanno radicalizzato la solitudine da tastiera (didattica a distanza-Dad, webinar, smartworking, ecc.).

Da ciò l’accentuarsi della povertà educativa (espressiva, linguistica e relazionale) e il pesante disagio dei nativi digitali, non più accompagnati nel loro accidentato cammino formativo.

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3. Il dopo Covid nella comunità di destino

Nella fase più buia e tragica del lockdown, la paura della morte vista da vicino aveva indotto molti a riflettere sulla necessità di recuperare il senso della appartenenza alla grande famiglia umana.

Questo sentimento aveva favorito l’idea dell’intera umanità quale comunitàcoinvolta nello stesso destino, nel segno dell’uguaglianza delle persone e della ricchezza della diversità individuale.

Da qui la previsione (“andrà tutto bene”, “ne usciremo migliori”…) del rinvigorirsi dell’ideale di fratellanza.

Questo principio, annunciato dal Vangelo e messo in versi (“Cantico delle creature”) da Francesco d’Assisi, è stato poi riaffermato sul piano laico dalla Rivoluzione francese e dalla nostra Costituzione (art.2) nella prospettiva “dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Si sperava così che, una volta superata la grande crisi sanitaria e socioeconomica da Covid-19, tutti avremmo rinsaldato con slancio le relazioni affettive e civili.

Ovviamente adattandole alla transizione verso le nuove esigenze e i nuovi scenari aperti dalla pandemia (gestione dei cloud di memoria, progressiva scomparsa dei lavori di routine, ecc.).

Tale ottimistica previsione stenta però a trovare riscontro nel post Covid, tuttora frenato dalla disorientamento divisivo della scienza medica e della politica.

Perciò, anche se le contestazioni dei no vaxno pass sono minoritarie, si discute molto sulla legittimità costituzionale di talune misure limitative delle primarie libertà garantite dalla Costituzione (artt. 13, 16, 32); restrizioni che appaiano incompatibili con i fondamentali parametri della ragionevolezza e del rapporto costi-benefici (cioè tra obblighi imposti e vantaggi per la salute individuale e collettiva).

Quali legami, quale speranza di ritrovata convivenza?

Sarà mai ipotizzabile progettare una vita “a distanza”?

Intanto, al fine di recuperare uno sguardo umano e un dialogo costruttivo tra l’io e il noi, sarebbe utile riflettere sulle ferite e sui messaggi recati dalla crisi sanitaria. Per capire anzitutto che i valori di fratellanza (retoricamente definiti universali) “reggono” nel tempo solo se – e fino a quando – viene ad armonizzarsi l’io con il noi, praticandola vicendevole attenzione per l’altro.

Sappiamo invece che i valori della solidarietà e della reciprocità, avendo profondo radicamento nella dignità e nella parità dei diritti di tutti e di ciascuno, non sono conosciuti da chi si relaziona con il male e insegue la politica degli affari; da chi quindi discrimina, marginalizza e fa strage di ogni diversità.

Come da ultimo ci racconta il dramma dell’Afghanistan, in guerra aperta con la decadente civiltà dell’Occidente, sotto la bandiera del radicalismo intollerante e di arcaici fanatismi etnico-religiosi.

                                                                                   b.m. (settembre 2021)

Benito Melchionna
Procuratore Emerito della Repubblica 
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3. Il dopo Covid nella comunità di destino

Nella fase più buia e tragica del lockdown, la paura della morte vista da vicino aveva indotto molti a riflettere sulla necessità di recuperare il senso della appartenenza alla grande famiglia umana.

Questo sentimento aveva favorito l’idea dell’intera umanità quale comunitàcoinvolta nello stesso destino, nel segno dell’uguaglianza delle persone e della ricchezza della diversità individuale.

Da qui la previsione (“andrà tutto bene”, “ne usciremo migliori”…) del rinvigorirsi dell’ideale di fratellanza.

Questo principio, annunciato dal Vangelo e messo in versi (“Cantico delle creature”) da Francesco d’Assisi, è stato poi riaffermato sul piano laico dalla Rivoluzione francese e dalla nostra Costituzione (art.2) nella prospettiva “dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Si sperava così che, una volta superata la grande crisi sanitaria e socioeconomica da Covid-19, tutti avremmo rinsaldato con slancio le relazioni affettive e civili.

Ovviamente adattandole alla transizione verso le nuove esigenze e i nuovi scenari aperti dalla pandemia (gestione dei cloud di memoria, progressiva scomparsa dei lavori di routine, ecc.).

Tale ottimistica previsione stenta però a trovare riscontro nel post Covid, tuttora frenato dalla disorientamento divisivo della scienza medica e della politica.

Perciò, anche se le contestazioni dei no vaxno pass sono minoritarie, si discute molto sulla legittimità costituzionale di talune misure limitative delle primarie libertà garantite dalla Costituzione (artt. 13, 16, 32); restrizioni che appaiano incompatibili con i fondamentali parametri della ragionevolezza e del rapporto costi-benefici (cioè tra obblighi imposti e vantaggi per la salute individuale e collettiva).

Quali legami, quale speranza di ritrovata convivenza?

Sarà mai ipotizzabile progettare una vita “a distanza”?

Intanto, al fine di recuperare uno sguardo umano e un dialogo costruttivo tra l’io e il noi, sarebbe utile riflettere sulle ferite e sui messaggi recati dalla crisi sanitaria. Per capire anzitutto che i valori di fratellanza (retoricamente definiti universali) “reggono” nel tempo solo se – e fino a quando – viene ad armonizzarsi l’io con il noi, praticandola vicendevole attenzione per l’altro.

Sappiamo invece che i valori della solidarietà e della reciprocità, avendo profondo radicamento nella dignità e nella parità dei diritti di tutti e di ciascuno, non sono conosciuti da chi si relaziona con il male e insegue la politica degli affari; da chi quindi discrimina, marginalizza e fa strage di ogni diversità.

Come da ultimo ci racconta il dramma dell’Afghanistan, in guerra aperta con la decadente civiltà dell’Occidente, sotto la bandiera del radicalismo intollerante e di arcaici fanatismi etnico-religiosi.

                                                                                   b.m. (settembre 2021)

Benito Melchionna
Procuratore Emerito della Repubblica