I primi artisti: considerazioni di antropologia e filosofia estetica sull’arte parietale dei Cro-Magnon

Abstract: Il seguente testo presenta un’analisi sull’arte preistorica attraverso una chiave di lettura antropologica e di filosofia estetica. L’indagine questiona la stessa concezione di Arte, considerando successivamente il propriovalore antropopoietico e la sua ancestrale manifestazione comunicativa. Ridefinendo il concetto di “fare arte”

– e quindi anche di “artista” -, l’arte parietale si propone come una forma artistica ed esperienziale non meno degnadella comune considerazione, anche in ambito di critica di Storia dell’Arte. Si ritiene infatti che questa faccia a tutti gli effetti parte di tale branca, nonostante le non poche difficoltà interpretative cui il divario temporale cisottopone. Le relative modalità di performare l’arte da parte dei nostri precursori Cro- Magnon aprono infatti innumerevoli considerazioni filosofiche, utili e soprattutto attuali. Lo scopo di questo paper è quello di offrire unanuova visione e considerazione della performance artistica di età preistorica.

Diogene, con la sua lampada a grasso, cercava un uomo in pieno giorno. Cro- Magnon, con la sua, nella notte dellecaverne, cercava sé stesso.

Romain Pigeaud

L’arte parietale – da considerarsi un tutt’uno con quella mobiliare e ornamentale – dovrebbe rientrare, nonostante le non poche resistenze, a pieno titolo nella Storia dell’Arte. Constatiamo infatti che, come per ogni altro tipo di arte, anche quella preistorica si serviva di supporti, dispositivi, simboli e significati: ciascuna di queste pitture difficilmente non si accompagna ad un’incisione, e necessita di una parete – o una base equivalente – costituendo così un unicum materiale ed esperienziale. Ogni complesso parietale è prezioso, mai identico ad un altro, per quanto ai nostri occhi risulti simile. Nonostante i motivi iconografici siano piuttosto diversi da quelli odierni, forse l’unica sostanziale differenza che vi potremmo rintracciare è situata nel divario temporale che ci separa dall’epoca storica di tale arte, e che talvolta può coglierci impreparati nella sua comprensione, oltre che nella suadecodificazione.

Questionarsi sulla natura dell’arte preistorica dà la possibilità di accedere a moltissimi interrogativi teorici: cos’è “arte”? Cosa significa “fare arte”? Chi decide cosa sia “artistico” o un “artista”? Indubbiamente, per affrontarequesto discorso, dovremmo

in primis accantonare eventuali pregiudizi che hanno molto più a che fare con vari retaggi dell’evoluzionismo sociale anziché con la sfera di quella che chiamiamo genericamente cultura. Da un lato, certamente i nostriprecursori su questa terra, i Cro- Magnon, non potrebbero essere considerati artisti, in quanto loro stessi non sipensavano tali, poiché mancava l’idea di arte come oggi viene comunemente intesa: occidentale, scandita dalrigore, dalle proporzioni e dall’armonia, richiamando i canoni della kalokagathìa classica. Eppure, se andassimo oltre quella nozione, per noi così interiorizzata, potremmo capire come l’arte rupestre incarni in realtà un elementointrinseco e primordiale, che accomuna tutti gli esseri viventi: il bisogno di comunicare. Tale necessità andava prima di tutto a manifestarsi dall’interno verso l’esterno, e cioè dall’individuo nei confronti del mondo circostante: se pensiamo all’arte parietale, il fatto di incidere, scalfire, lavorare e intagliare, così come imprimere e riempire con del colore (che si trattasse di sostanze macerate o macinate oppure di fluidi corporei), per realizzare una vera epropria composizione sul supporto, tendenzialmente roccioso, ci illustra un’evidente volontà di un soggetto di interagire con l’oggetto dato in quel frangente temporale.

L’intenzione di modificare l’ambiente circostante è senza dubbio un tipo di linguaggio, e quindi di comunicazione,comune a tutti gli esistenti. Tuttavia, tale forma di espressione non doveva certo essere unilaterale: nella notte delle caverne, l’essere umano, attraverso le sue pitture, esprimeva i propri bisogni e cercava di risolvere i problemi quotidiani, che definivano al contempo chi fosse e la sua stessa identità. In Filosofia ci si richiama spesso al concetto di thaùma, che i post-socratici definirono come “stupore angosciato”. Ma se dovessimo inquadrarel’esperienza dei nostri precursori Cro-Magnon, potremmo certamente rifarci alla connotazione lasciataci da quel Nietzsche filologo che ne ribaltava l’intera accezione: una conoscenza situata, presente e puntuale, che poco siaccorda con una semantica benevolente e positiva, ma che, anzi, è manifesta nel suo lato temibile, terribile espaventoso:

«Si tratta dello stupore raggelato di fronte a ciò che fa irruzione improvvisamente nella nostra vita “sapiente” sfuggendo del tutto alle maglie del sapere.»1

1 R. Fabbrichesi, Cosa si fa quando si fa filosofia?, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2017, pp. 1-2.

Un’arte quindi che ha poco a che fare con i nostri tradizionali canoni di bellezza, che fu prima di tutto proprio un mezzo comunicativo, forse il più ancestrale bisogno a noi tramandato, così grezza e “primitiva” per l’occhio odierno.E tuttavia, era un’arte utile, che si costituiva attraverso la téchne, la tecnica, ma al contempo andava oltre la stessa, aldi là del gesto puramente meccanico, intriso invece di significati. Un’arte, potremmo dire in altre parole, che servivaper disciplinare il caos stesso.

Inoltre, se volessimo proseguire, potremmo questionarci sulla differenza tra arte e artigianato, da intendersi come tecnica. Infatti, questi due termini condividono la medesima etimologia, che sembrerebbe derivare dalla radice sanscrita ar-, traducibile in “andare verso”, quasi a intendere quella necessità comunicativa di cui parlavamo poco sopra. Le dissertazioni che accomunano o separano l’arte e la tecnica sono ben note alla storia della filosofia. In un’ottica di estetica filosofica, l’arte parietale offre tuttavia spunti di riflessione assai stimolanti: da un lato, la sua esecuzione è situata in modo preciso nel tempo – negli istanti in cui venne performata -, dall’altro la tecnicaimpiegata doveva essere in qualche modo riproducibile, infatti:

«Se per le grandi pitture parietali in grotta possiamo recepire l’attività di uno o più abili operatori, probabilmente riconosciuti dalla comunità per il loro saper fare, difficile è quello delle incisioni per le rappresentazioni aniconiche.»2

Per questo motivo, gli stessi archeologi hanno potuto avanzare le più disparate interpretazioni semiotiche, anche se chiaramente non è possibile parlare, in ambito artistico, di produzione in serie.

Al di là di eventuali dissertazioni sulla natura di questa arte, credo che, per evitare incasellamenti anacronistici, ma soprattutto interpretazioni viziate, sarebbe meglio decentrare il nostro punto di vista, per quanto possibile, chiedendoci cosa potesse significare la stessa arte parietale per gli uomini Cro-Magnon. Sarebbe inoltre un erroretrattare l’arte parietale riducendola alla sua riproducibilità tecnica.

Quella preistorica era un’esistenza immersiva, dove il contatto con il resto del mondo vivente era imprescindibile e,come abbiamo detto sopra, un’esperienza tanto carica di paura quanto necessaria. Così, l’arte dell’epoca non poteva che imitare questo tipo di vita: quando ancora gliecosistemi non erano antropizzati – né, tantomeno, industrializzati -, la vastità della “natura” – costituitasi semioticamente come “altro dall’umano” – e la propria esistenza, in stretto contatto con ogni tipo di vita, erano allostesso tempo causa di meraviglia e orrore. Non quindi un’arte puramente intellettuale, per soddisfare il gusto di un’estetica raffinata, ma un’arte non per questo meno intelligente, connessa allo spirito ancestrale dei nostriantenati: quando il tutto incombeva sull’io, in cui la preoccupazione di soddisfare i propri bisogni primari eral’unica cosa che importava davvero alla fine della giornata, l’arte aveva un potere tanto spirituale quanto fattuale nella sopravvivenza. Se, secondo Schiller, «grande è colui che vince lo spaventoso, sublime chi, pur soccombendo ad esso, non lo teme», allora potremmo dire, accordandoci con la sua filosofia estetica, che i Cro-Magnon dovevanonecessariamente essere sublimi in senso artistico.3

Infatti, «Sublime è quell’oggetto nella cui rappresentazione la nostra natura sensibile riconosce i propri limiti, mentre la nostra natura razionale avverte la propria superiorità, la propria libertà da ogni limite; un oggetto, dunque, contro cui soccombiamo fisicamente, ma su cui ci eleviamo moralmente, vale a dire in virtù delle idee.»4

Come sappiamo, l’arte parietale viene datata indietro nel tempo di circa 40.000 anni ed è solo una delle diverse manifestazioni creative dei primi esseri umani, tuttavia praticamente l’unica sopravvissuta fino a noi. Sull’argomento è stato scritto molto, soprattutto durante il secolo scorso, grazie al lavoro sinergico tra branche differenti, dal campo archeologico a quello etnoantropologico. E forse è proprio l’arte preistorica che può aiutarci a comprendere se stessa, scardinando alcuni pregiudizi di lunga data che tendiamo a riservare nei suoi confronti, mettendo in discussione il binarismo Natura-Cultura. Infatti,

«In un senso molto generale, Richerson e Boyd definiscono la cultura come un insieme di “informazioni capaci di influenzareil comportamento degli individui, i quali le acquisiscono da altri membri della propria specie attraverso l’insegnamento, l’imitazione e altre forme di trasmissione sociale”. In altre parole, la cultura […] è il prodotto dell’interazione fra individui che appartengono allo stesso gruppo o popolazione. […] Così come molti altri animali, gli esseri umani non nascono con unrepertorio  di

2 V. Stasolla, “Artisti o artigiani? Considerazioni sul saper fare arte nella preistoria” in ArcheoMedia: Rivista di archeologia online, 2015, p. 1.

3 F. Schiller, Sul Sublime, a cura di L. Reitani, Abscondita, Milano, 2003, p. 26.

4 Ibidem, p. 13.

comportamenti innati che ripetono automaticamente: durante lo sviluppo e la crescita impariamo nuovi comportamenti grazie all’interazione con l’ambiente che ci circonda. L’ambiente di una specie non è formato solamente dall’ ambiente naturale, ma anche dai propri simili.»5

Già lo stesso antropologo Lévi Strauss si era cimentato in questa decostruzione, affermando che:

«bisogna reintegrare la cultura nella natura, scoprire che il livello “inferiore” è altrettanto ricco di quello “superiore”, cogliere la possibilità per l’uomo di comunicare con la vita e la natura, in una sorta di pietà capace di abbracciare il mondo.»6

A tal proposito, proprio per non ridurre l’arte rupestre alla sola pittura (o incisione), ma per inquadrarla invece come performance e relazione, potremmo prendere in considerazione lo stesso processo creativo, e in particolare lastrumentazione impiegata per la sua realizzazione. Infatti, come gli stessi archeologi ci informano, non tutti i tipi di arte rupestre sono uguali, non solo a livello semiotico, ma anche perché di volta in volta, di contesto in contesto, di luogo in luogo, cambia lo strumento impiegato. Per quanto simili possano sembrarci gli utensili, le punte e gli “scalpelli” di Cro-Magnon, sicuramente il loro design presentava determinati pattern che sono risultatiartisticamente e tecnicamente consoni, adeguati e vantaggiosi. Ed è anche solo da tali piccoli indizi concreti che possiamo dedurre come quella dicotomia tanto affermata, cioè tra Natura e Cultura, sia in realtà particolarmente flebile.

Se dovessimo quindi rielaborare questo tipo di arte attraverso un’ottica antropologica, potremmo senz’altro rifarci al concetto di agency. L’arte intesa come agentività è infatti ciò che meglio racchiude le nostre considerazioni fatte finora, poiché fare arte significa, come abbiamo spiegato, affermare e anche affermarsi: dal prefisso latino ad- ed ilverbo firmare, cogliamo quindi da un lato quella volontà di interagire con ciò che è altro da noi, dall’altro l’intenzione di manipolare la realtà circostante. Ed è proprio con nomi, simboli, segni e gesti che l’essere umanoesprime fino in fondo la propria natura, in quanto agente del mondo, parte di esso, al contempo vivendolo in modo separato.

5 L. Baravalle, “L’Origine della Cultura e il suo Funzionamento” in Evoluzione e Cultura, Carrocci Editore, Roma, 2018, p. 83.

6 G. Ditardi, I Filosofi e gli Animali: L’animale buono da pensare, AgireOra edizioni, Torino, 2021, p. 382.

Dott.ssa Giulia Di Loreto
Filosofo