Fabio Imperiale La grandezza di un racconto semplice

Lo sguardo lungo e inesorabile di Fabio Imperiale, guarda all’eterno femminile, come geneticamente culturale e semplicità espressiva, in senso fisico, assolutamente fisico, ma storico, assolutamente storico, dal punto di vista dell’emozionalità fantastica e della rappresentazione visiva, specialmente in quest’ultima fase della modernità, che ha fatto diventare la donna testimonial di tutto, ma proprio di tutto, a causa (o grazie) all’emozionalità che, investendo le molecole più recondite dell’io e del noi, condiziona ogni atteggiamento nei confronti dell’altro. La donna, specchio estetico dell’umanità, nel progetto “Marginalia” è soggetto-oggetto, nel senso che vive all’interno dell’opera, come in un secretum, mostrando vera spontaneità che è quella dell’essere con sé stessi, del piacersi, del guardarsi, dell’immaginarsi, ma anche la spettacolarità del piacere, del guardare, dell’immaginare, in una dialettica, che è della natura, che è della cultura, in un limpido, in un torbido, di una trama combinatoria che prevede scampo, che prevede riparo, facendo parlare il respiro, il calore, l’assopimento, come regno, come voluttà. Nello specifico, le incursioni di Imperiale sono elaborazioni di pose, post moderne, che inclinano, al rituale, allo psicologico, al sex appeal, in uno sconfinamento che tende a corporalizzare, attraverso la fotografia, anche l’atmosfera che circonda la vita normale, come essenzialità, da definire e ridefinire, continuamente, dei volti, delle cosce, delle mani, tra un consolidato senso comune della bellezza e un’apertura alle passionalità del sublime, come indefinito, sconosciuto, che è dell’estremamente grande, dell’invisibilmente piccolo.

C’è molta volontà di rappresentazione in mezzo a noi, che è intrinseca dello stesso pensiero ed agire umano, che si materializza in un precipitare di frammenti, che vengono da forme e cercano forme, che qui e là vengono intraviste e intuite, tenute insieme da un meccanismo di azioni e reazioni, di dinamiche creative, che possono essere generate, da un quid, da un ineffabile, che via via si materializza e istituisce un codice, da una galassia di emozioni e sensazioni che, invece di rivolgersi al piano enigmatico della memoria solitaria, quindi fini a se stesse, possono diventare proposte innovative, linguisticamente leggere, avvolte in visioni, ora irritanti e teatrali, ora crepuscolari e poetizzanti, segni su segni, sogni su sogni, che vogliono evocare, un universo sui generis, uno straordinario congegno, sagome su sagome di una straordinaria cartografia, fantasiosa e immaginaria, di cui ogni aspetto può essere scrutabile, nelle grandi e nelle piccole linee, come la dilatazione formale di un elaborato marmo barocco, su cui si sono esercitate molte mani e da cui si sono sprigionate molte visioni, in un blocco, sbloccato da mille sfaccettature e pieghevolezze, da cui possono sorgere molti racconti ed evocarsi molte illusioni, proprio perché esse vengono aperte a tante soluzioni, a tutte le soluzioni emotive ed immaginifiche che si voglia, perché è nel loro genio costitutivo, un posto speciale, per sollecitare il desiderio e la passione

Una semplicità, che è anche una totalità, di una condizione acronica, cioè senza il tempo così come lo pensiamo noi, in quando in una supposta immortalità il tempo non ha senso, se non come separazione di un essere da un non essere, perché non c’è nulla da conquistare, nessuna grazia, nessuna eternità, perché c’è già tutto. 

Imperiale ci dice che il sommarsi e sottrarsi di simulazione e dissimulazione, sono il fondamento dei rapporti interindividuali e sociali, che permettono di salvaguardare l’intimità, che è il fondamento dell’individuo, della sua specificità, della sua settorialità, della sua capacità di relazionarsi con familiari ed estranei. Quando tutto è sempre e comunque trasparente, la vita diventa uno spettacolo, dove tutti sono spettatori e giudici e nessuno può permettersi di pensare male anche a non volerlo dire. Una normalità dove però tutto è sconfinato, oltre il segno della bellezza, che è sempre un confine, determinando la non tracciabilità del sublime, che è automatismo e alterità, che sorprende le capacità nomenclative dell’arte, come accidente strutturale e significativo, che dello stesso linguaggio come griglia a priori, soggetta a mutazioni per crescita e decrescita, in un farsi e in un disfarsi, continuo, che è fisiologico, ma che oggi comincia ad apparire come palesemente inadeguato. 

Prof. Pasquale Lettieri
Critico d’arte