Emanuele Paparo: un personaggio vibonese tutto da rileggere
Sicuramente sarà la letteratura e la sua passione per la storia che spingerà Emanuele Paparo di Monteleone (XVIII secolo) a raccontare per immagini la profonda fede popolare vibonese verso Maria, la madre del Divino Infante. Pittore, critico d’arte, architetto, letterato, nei suoi quadri – scrive Antonio Piromalli portò personaggi e spazi di altri autori neoclassici e risorgimentali. Ma è completamente errato vedere e leggere Emanuele Paparo come copista nei linguaggi puri e semplici del termine. Allievo del Rubino, egli fu una figura illuminata che insieme a Vito Capialbi espresse la grandezza della cultura vibonese. Se Emanuele Paparo, amico della famiglia Capialbi, ebbe a scrivere la biografia di Giovanni Antonio Capialbi letterato, legale, poeta e filosofo, la sua vita, al limite persino della santità, fu raccontata da Vito Capialbi. Fu “promotore” (presidente) dell’Accademia Florimontana con il nome di Palamede Olimpico, e famosi sono i suoi versi sepolcrali dal sentire ossianico: D’Ipponio nostro uscir vidi l’avverso/crudo destin che in fosco ciglio e torvo. Per una certa cultura vibonese impregnata di politica non era del tutto ben visto, come si legge nelle lettere intestate al Capialbi in cui Emanuele Paparo non si risparmia nel sottolineare incapacità di governo della cosa pubblica. E non risparmia nessuno. L’incapacità e l’ignoranza per il Paparo sono la peggiore cosa dell’uomo che lo rendono persino presuntuoso. Scriverà “Viaggio Pittorico” poema in 40 canti che sarà pubblicato postumo a Messina nel 1836 . in tutto scriverà 21 volumetti in prosa e 70 orazioni sacre. Allievo di Vincenzo Camuccini (pittore neoclassico) anche se non tutti concordano su questo rapporto di studi, il Paparo studiò prima a Napoli e poi a Roma dove frequentò il Canova e di questi lui si sente fortemente forgiato, come scriverà lo stesso artista vibonese: E del mio cor le tempre modificò, corresse, egli mi formò l’anima […] ai tuoi Greci io antepongo il mio Canova, egli più volte mi additò, mostrommi dell’arte ogni mistero ed ogni arcano. A lui il compito di organizzare i funerali di Maria Carolina d’Austria (1815) e del marito Ferdinando I realizzando i monumenti funebri.
Negli scritti di Paparo si legge molta erudizione (Winkelmann, Mengs,). Secondo Emanuele Paparo, l’artista deve avere talento personale, avere fatto apostolato in città dove opera, e perfezionarsi a Napoli e Roma le città sacre alla scienza e a Dio. A Monteleone vesti i panni dei Padri Filippini. Fu maestro prezioso che arricchì la città e le vicinanze di architetture e stucchi. Suoi allievi furono gli artisti Stefano Colloca, Enea Silvio Strani e Benedetto Aloi. Di Emanuele Paparo si deve ancora scrivere e raccontare tanto, perché grande è la sua storia dagli echi europei che pochi conoscono. Il Marzano parla persino delle opere del paparo tradotte in inglese, francese e tedesco seppure non se ne trova traccia (almeno fino al momento!). Non manca qualche frecciatina ad amori non condivisi con donne incantate per la sua bellezza. Come scrive il nobile Federico Tarallo “si spense il 6 settembre 1828 alle ore 12 e 30” a causa di quel tumore difficile da guarire, che era apparso sulle carni del famoso artista monteleonese sul finire di luglio dello stesso anno. Costretto a letto – continua il Tarallo – seppe di dovere morire poco prima che spirasse”.
Prof. Pino Cinquegrana
Antropologo