Comunicato stampa
Milano, 25 aprile 2020
Cari amici,
Viste le sbilanciate informazioni presentate oggi da Repubblica, e viste anche alcune chiacchiere da marciapiede che serpeggiano in questi giorni, credo sia venuto il momento di raccontarvi come sto trascorrendo il mio tempo da coronavirus.
Di fronte all’estrema emergenza in cui versava l’Italia, specialmente all’inizio della prima fase, del tutto priva di strategia, di organizzazione, e di materiali di primissima necessità, e vista la mia decennale esperienza sul mercato cinese ed asiatico (non esattamente “di sponda”, come dice il quotidiano: in Cina abbiamo cinque uffici, abbiamo aperto due grandi
locali pubblici, e senza il virus quest’anno avevamo in programma l’apertura di altri tre centri commerciali), la Protezione Civile ha pensato di chiedermi una mano per l’acquisizione di mascherine sul mercato internazionale. Esatto il quantitativo, 15 milioni di pezzi, non esatto
il valore indicato, comunque un contratto molto importante. Preciso che il prezzo unitario concordato è in leggera perdita per la mia società, ma lo considero comunque un contributo utile da dare allo Stato Italiano, che amo e servo con orgoglio, oggi da imprenditore, come un tempo in un ruolo istituzionale.
Dopo una prima fase di avviamento, estremamente difficile, segnata dal “furto” di un carico in Russia, dovuto all’improvvisa chiusura del paese all’esportazione di mascherine (inutile l’intervento del nostro ambasciatore a Mosca, ed inutile una lettera della Protezione Civile stessa per le autorità), ed una seconda sottrazione in Ungheria (5 milioni di pezzi già pagati,
dirottati invece su un acquirente americano che li pagava di più), abbiamo finalmente potuto accedere al mercato cinese, dove ci siamo attestati.
Ad oggi ho importato oltre 12 milioni di mascherine, molte delle quali per la Protezione Civile, ed altre per ospedali, farmacie, o aziende, facendo atterrare sei aerei cargo da me noleggiati, oltre a diversi passaggi aerei per singoli lotti. La prima settimana di consegne ci ha visti lavorare dalle otto di mattina alla una di notte, in ribalta a consegnare cartoni ai trasportatori, in un clima di vera guerra, anche fra coloro che volevano accaparrarsi i carichi.
Da imprenditore, vi confido che faccio i complimenti non solo ai miei coraggiosi instancabili che hanno presidiato la ribalta fino a notte fonda, per una intera settimana, ma anche al mio ufficio amministrazione, che è riuscito a non perdere il filo di una sola fattura o bolla di consegna.
Detto ciò, a partire dalla seconda settimana di previste consegne, si è andata affermando una interpretazione restrittiva dell’ordinanza originaria della protezione civile, che aveva espressamente stabilito, per il periodo dell’emergenza, la possibilità di importare, distribuire e vendere dispositivi di protezione individuale anche non europei, purché certificati NEI LORO STANDARD (KN95 e N95). La nuova interpretazione impone invece una CONFORMITA’ AGLI STANDARD EUROPEI.
La partita si gioca tutta qui: “analogia” o “conformità”. E da questo conflitto interpretativo sono discese tutte le problematiche di cui, con fantasioso spirito di calunnia, dà sommariamente conto anche l’articolo del giornale di oggi.
Avverso il sequestro (che è realmente accaduto) stiamo chiaramente facendo presente questa questione, insieme ad altri dettagli importanti, compreso il fatto che alcune delle mascherine sequestrate sono comunque state approvate dall’Istituto Superiore di Sanità, come richiede la legge.
Alla stessa stregua, stiamo fornendo all’INAIL la documentazione integrativa che in qualche caso ci è stata richiesta. Vorrei poter omettere la circostanza che qualcuno mi ha fatto sapere che, se avessi fatto ricertificare a mie spese le mascherine da un certo istituto di certificazione avrei certamente avuto l’approvazione dell’INAIL. Transeat, chiacchiere da
marciapiede anche queste.
Adesso la situazione è la seguente: io vado avanti a lavorare, anche perché il resto della fornitura di mascherine è già stata acquistata, e prenotato il ponte aereo per consegnarla.
Parallelamente, come è chiaro, benché meno importante, ho comunque dato mandato ai legali della mia società, e al mio personale, per difendere l’onorabilità del mio nome, e del mio marchio.
Vi ringrazio di essermi accanto in questo momento, e per il molto che sto imparando, ogni giorno, dalla dedizione di ciascuno alla sua impresa, alla sua missione
Vi auguro un felice 25 aprile, viva la libertà, viva l’Italia
Irene Pivetti