Una riscossa trasgressiva dopo la “scossa” Covid

La virtù della fortezza si vede nelle necessità.

Era questa la frase d’obbligo con la quale, in tanti meriggi del 2015, accoglievo nel mio studio di Bergamo sei promettenti studenti liceali, chiamati a collaborare attivamente con me alla stesura del mio Saggio “Elogio della trasgressione”.

Oggi ho pensato di ripescare quella lontana esperienza “irriverente”, apprezzata nei circuiti culturali fuori dal coro, per verificare sul campo in che modo i miei giovani co-autori vivono il tempo di Covid-19.

Tutti loro mi confermano che sanno affrontare in modo reattivo e consapevole l’attuale difficile passaggio della storia umana, incrociando con determinazione le ansie, le emozioni, le paure, i sogni e i progetti di rinascita.

Una bella testimonianza che suggerisce anche a noi come dovremmo cercare di sottrarci con intelligenza alla morsa del “nulla” della pandemia, e tentare di reagire con coraggio (cioè col cuore) alle avversità che segnano la condizione umana.

A proposito di riscossa e di rinascita, credo perciò che non sia qui azzardata l’idea di chiamare in soccorso la forza della trasgressione positiva quale vero motore della storia, nella versione analizzata ed “elogiata” nel citato Saggio.

Infatti, pur essendo noto che nel linguaggio comune e nell’opinione corrente trasgredire significa violare le regole della morale e del diritto, forse – nei tormentati momenti che stiamo vivendo – potrebbe essere utile approfondire il verbo tras-gredire da un non scontato approccio alternativo. Partendo cioè dalla sua più pregnante e stimolante accezione etimologica di andare (senza fanatismi) “oltre” le convenzioni futili e ipocrite, oltre i luoghi comuni e gli stereotipi di moda per accedere ai “gradini” più alti della coscienza.

Insomma, studiare da presso, con la virtù della fortezza e con la “cura” della curiosità, la continua evoluzione delle mappe cognitive nel loro rapporto con la realtà in trasformazione.

Così che, mettendo a frutto un sapere visionario, da tale prospettiva fosse reso possibile cogliere tutte le complesse sfaccettature e le sfumature dell’esistenza, aprendosi nel contempo al mondo creativo dell’arte e delle emozioni più profonde.

Ecco perché i veri innovatori – lungi dall’essere anarchici – sono attenti alle sollecitazioni del tempo interiore per indagare il circoscritto perimetro e insieme l’infinito orizzonte etico della libertà. Un valoreprimario che si misura appunto mettendo in relazione il circuito del libero arbitrio di ciascuno con le necessità imposte dall’esterno, al fine di far coincidere – per quanto possibile –  bene individuale e bene collettivo.

Perciò, anche se la visione aperta ai cambiamenti è spesso riprovata e giudicata persino eversiva dalla mentalità ingessata nella conservazione, di fatto tale visione rifugge da ogni forma di violenza e da qualsiasi azione/omissione illecita o immorale.

Dunque, a ben vedere, questa concezione fondata sulla forza della testimonianza, e che si muove tra Socrate, il Vangelo e i diritti umani, potrebbe ora dar vita a un “nuovo inizio”. Adattando la riscossa agli imprevedibili scenari e agli stili di vita (smart working, ecc) che si imporrano dopo la lunga tragica scossa di Covid-19.

Qualcuno definisce questo psicodramma collettivo come una sorta di spico-info-demia, ossia la paura indotta nel popolo da una cattiva informazione.

Sta di fatto che quest’ultima grave emergenza planetaria ha messo a nudo e ha accelerato le tante crisi (antropologica, ecologica, economica ed educativa) che da tempo assediano la nostra civiltà malata, che sembra avviata a un inarrestabile declino.

Quindi all’improvviso l’homo creator si è riscoperto smarritonel mondo virtuale della realtàaumentata da lui stesso concepita. Forse, preso dalle lusinghe di un improbabile nuovo Eden, egli è ricaduto nel peccato originale della superbia, sentendosi ricco di risorse tecnologiche e tuttavia svuotato dalla mancanza di ogni idea di spiritualità e di soprannaturale.

Pertanto, un po’ tutti ci riveliamo fragili e impotenti di fronte alla imperscrutabile morte diffusa da SARS-CoV-2, sfiduciati nei confronti dei miracoli della scienza e del teatrino della politica.

Il brusco risveglio dall’illusione di una crescita indefinita sollecita dunque un vigoroso colpo d’ala per ricodificare le nostre abituali categorie mentali e comportamentali.

Ma anzitutto, per riprenderci dalla pandemia e contrastare l’attuale decadenza, in specie dell’Occidente, l’unica alternativa efficace (non solo declamata) consiste nell’andare oltre l’attuale modello di sviluppo.

Come può infatti essere sostenibile all’infinito un sistema  iniquo posto a solo vantaggio di pochi, e predatore dei complessivi ecosistemi naturali e culturali, magari anche a dispetto  della annunciata transizione ecologica?

In realtà, come dimostra la parabola dei grandi imperi del passato, e come osservava P.P. Pasolini nei suoi “scritti corsari” già sul finire degli anni ’60 del novecento, non può avere futuro una organizzazione sociale infiacchita dalla corruzione dei costumi, ossessionata dalla produttività e inquinata dalla spietata logica del mercato. Una legge che governa anche il nuovo ordine (?) mondiale attraverso sovrastrutture mirate allo sviluppo senza progresso, stante la separazione della cultura dalla natura, dell’eco-logia dalla eco-nomia.

Per una così impegnativa svolta, da tempo gli spiriti eletti (utopisti) invocano una sorta di nuovo rinascimento che, anche nell’era post-globale, riconosca la centralità della persona, conciliando l’utilità con l’onestà, come ammoniva Cicerone.

Serve dunque una forte dose di coraggio trasgressivo per:

  • ripensare e riscrivere il catalogo degli ideali che diedero anima alla contestazione giovanile del 1968. Un movimento a suo modo rivoluzionario che, oltre a picconare giustamente gli imperanti autoritarismi di retaggio patriarcale, portò poi al progressivo affievolirsi del sostanziale principio di autorità (e quindi di autorevolezza, di gerarchia, di meritocrazia e di … ordine sociale);
  • superare le fatue liturgie dell’apparire e bandire il costume quotidiano improntato alla malacreanza e al menefreghismo. Concordando invece che solo nell’etica della responsabilità consapevole, svincolata dai lacci di tante oscure dipendenze, risiede la qualità della vita e l’aspirazione alla felicità;
  • aggiornare il principio della legalità formale, sbandierato e poco praticato in specie da farisei e moralisti, per uniformarlo al valore universale della giustizia (virtù cardinale assieme alla prudenza, alla fortezza e alla temperanza);
  • insegnare alle nuove generazioni che la conoscenza critica, stimolata dalla fame di curiosità, è necessaria per evadere dalla prigione dell’ignoranza. Poiché il sapere dà sapore alla vita, apre alla bellezza e a territori mentali sconosciuti, genera i valori a base della scelta tra bene e male e crea innovazioni in sintonia con il futuro.

Insomma, indirizzare i giovani verso una conoscenza in grado di valorizzare e armonizzare i tanti noi che convivono nell’io,di andare oltre la simil-cultura di certo ciarpame televisivo, oltre il politicamente corretto, oltre la schiavitù della informazione comunicazione superficiale usa-e-getta…

Benito Melchionna
Procuratore emerito della Repubblica