Vissuto psicologico del bambino adottato

Nelle notti nei boschi
i bambini persi chiamavano per essere trovati.
Non c’erano le stelle?
Le stelle erano gli occhi dei lupi.
Non c’era la luna?
La luna era le fauci dei lupi.
I bambini persi erano spaventati?
Sì, chiamavano tanto.
Svegliavano gli animali addormentati.
Vivian Lamarque, I bambini persi, da “Il signore degli spaventati”

Il mio lavoro mi conduce, spesso, negli intrecci di narrazioni esistenziali difficili e dolorose, narrazioni, tutte e indistintamente, cariche di significati profondi che ampliano la mia visione, portandomi a partorire appassionate riflessioni e ad affacciarmi, con curiosità, su mondi sommersi.

Intendo, qui, prospettare una disquisizione sui bambini adottati e sui loro vissuti psicologici perché credo fermamente che meritino un’attenzione autentica, sincera e vigorosa. Anche solo parlarne potrebbe trasformarsi in una potente azione informativa capace di essere la base e lo slancio per donare una vita degna di essere vissuta a chi, inizialmente, sembrerebbe non averne pieno diritto al pari di tanti altri.

I figli adottivi sono, intrinsecamente e tacitamente, bambini feriti e, nella maggior parte dei casi, rifiutati, abbandonati e deprivati emotivamente.

Sono infanzie faticose in cui si sperimenta un distacco forzato dai genitori biologici, e al di là delle motivazioni per cui questo avvenga, sono contingenze in cui si mettono in discussione i presupposti per un sano processo di crescita. Sono, difatti, storie di vita che, fin dall’esperienza intrauterina, possono presentare carichi di angoscia e di sofferenza da elaborare e da far emergere affinché non si trasformino in qualcosa che non sempre si mostra con chiarezza ma che c’è e che, inevitabilmente, rischia di diventare un nemico silenzioso che ferisce e tormenta.

Un bambino, a voler essere precisi, inizia il suo percorso ancor prima di essere concepito perché è da allora che la sua biografia si permea della storia familiare, dei sogni e dei desideri dei suoi genitori ma anche, talune volte, di delicati e problematici frammenti di vita dei parenti biologici. All’interno del grembo della mamma, poi, si arricchisce di un ulteriore vissuto e di altre esperienze che si aggiungono al bagaglio che ha già con sé perché lo ha ereditato dai familiari del presente e del passato.

La relazione con la madre, prima ancora di nascere e di venire al mondo, è, indiscutibilmente e innegabilmente, unica e significativa.

Nell’utero il figlio riceve nutrimento e ossigeno ma entra anche in sintonia con i vissuti più profondi e celati della mamma; è qui che potrebbe entrare fattivamente in contatto con il dolore del rifiuto e della deprivazione.

I bambini adottati, pertanto, al momento di conoscere i genitori adottanti, hanno vissuto, sulla propria pelle, il dolore della perdita e dell’assenza dei genitori biologici, soprattutto della figura genitoriale materna, con cui si sono relazionati in maniera irripetibile, anche se adottati da piccolissimi.

Da quanto ho succintamente esposto finora, si evidenzia la necessità di prendere ponderatamente in considerazione le prime fasi evolutive dei bambini adottati perché sono periodi di vita fondanti e, inequivocabilmente, ricchi di vissuti, esperienze e memorie traumatiche.

Essere attenti ai drammi nascosti e spaventanti di bambini che percepiscono dentro di sé e costantemente il tormento di ferite profonde, il più delle volte inconsapevoli, si traduce in una comprensione piena del bambino stesso, donandogli, in questo modo, la possibilità di sentirsi al sicuro e di percepirsi integrato nel corpo e nella mente.

La coppia genitoriale che sceglie di adottare un figlio va seguita e formata con appositi training di sostegno alla genitorialità consapevole, in grado di prepararli ad affrontare situazioni delicate e complesse che richiedono soluzioni non certamente veloci, immediate e magiche.

I genitori che scelgono di crescere un figlio abbandonato da altri, se saggiamente preparati, costruiranno, insieme al bambino, una relazione sana, empatica ed equilibrata e riusciranno a regolare i propri pensieri, emozioni e sensazioni corporee in modo da eteroregolare anche i figli che, piano piano, impareranno ad autoregolarsi, esprimendo ciò che pensano, provano e sentono in una cornice di senso coerente.

Una relazione bilanciata e regolata tra genitori adottanti e figlio adottivo è un fattore basilare, essenziale ed imprescindibile ai fini di una integra crescita psicologica di bambini che, nonostante, abbiano incrociato sul proprio percorso il patimento dovuto ad un infausto abbandono e a esperienze di vita sfavorevoli, hanno, così, la possibilità di elaborare la propria storia di vita e di costruire se stessi, senza ombre da temere e senza fantasmi che, subdolamente, si aggirano nella mente e nel corpo, creando dolore.

Un dolore che, probabilmente, sarebbe invisibile agli occhi di molti ma, proprio per questo, risulterebbe ancor più tagliente, penetrante ed infimo.

È possibile, invece, trasformare la sofferenza di questi bambini in reali alternative fattuali, capaci di donare ciò che, quotidianamente, mi piace donare, con il mio lavoro: una vita degna di essere vissuta, in grado di farli sentire padroni di se stessi, al di là degli abbandoni che ci sono stati e che possono condizionare ma non certamente determinare.

Dott.ssa Rosetta Cappelluccio
Psicologa Psicoterapeuta