TRIBUNALI, DIRITTO E GIUSTIZIA

1.- Magistratura tra indipendenza e collateralismo

Nei paesi democratici, figli della rivoluzione francese, la regolamentazione e l’attuazione del catalogo dei diritti e dei doveri dettato dalla Costituzione, e il ristabilimento dell’ordine sociale violato, si basano sul principio della “divisione dei poteri” (legislativo, esecutivo, giudiziario).

Detta separazione – oggi messa in forse dalle ideologie populiste – fu concepita dal Montesquieu (1689-1755) come strumento finalizzato a tenere in equilibrio le funzioni essenziali dello Stato moderno.

Questo bilanciamento – simboleggiato appunto dalla bilancia della Giustizia – è assicurato, in particolare, dal controllo di legalità e dalla funzione di garanzia esercitati da giudici “soggetti soltanto alla legge” (art.101Cost.), e perciò svincolati da qualsiasi legame o condizionamento politico. Per questo la magistratura, a differenza di quanto è previsto per le altre istituzioni gerarchizzate, costituisce un “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art.104 Cost.).

Molti tuttavia pensano che i citati postulati costituzionali siano in realtà da tempo contaminati da una sorta di criptico “ibridismo”, che vede l’ordine giudiziario qua e là piegato a forme di “collateralismo” politico; tutto ciò in evidente contraddizione con la terzietà e l’imparzialità -peraltro imposta dall’art.97 Cost. a tutti i pubblici uffici- che sono peculiari della funzione giurisdizionale.

Si può allora considerare davvero indipendente, rispetto agli altri poteri, una magistratura organizzata in “correnti” e strutturata in “cordate” per qualche verso ispirate alle contrapposte ideologie dei partiti politici?

E’ poi possibile ritenere veramente autonomo un ordine professionale più volte apparso incapace di mettere ordine in casa propria, ad es. regolamentando secondo equità le scelte che contano del Consiglio Superiore della Magistratura?

Basta al riguardo soffermarsi sul sistema “pilotato”, da ultimo messo in luce dallo scandalo del PM romano Luca Palamara

2.- Cortocircuito diritto-giustizia

I tribunali traggono nomedal tribuno che, nell’antica Roma, svolgeva funzioni di giustizia nelle circoscrizioni (tribù) in cui era diviso il territorio.

Nell’era moderna indichiamo con lo stesso nome le sedi dove i giudici dello Stato amministrano “nel nome del popolo” (art.101 Cost.) la giurisdizione(dal latino, manifestazione del diritto) in materia civile e penale secondo coodificate e sempre aggiornate procedure.

Il diritto, inteso come complesso di regole giuridiche, nasce per essere “servente” rispetto ai superiori valori etici della giustizia, essendo quest’ultima virtù cardinale intrinseca alla coscienza di ogni essere umano in tutte le latitudini.

Pertanto, il diritto dovrebbe essere storicamente e (geograficamente) funzionale alla regolazione e alla valorizzazione, sul piano pratico, della libertà individuale, che vive negli spazi incontaminati di ciascuno.

Per questo motivo, la giuris-prudenza cerca di armonizzare la giustizia con la prudenza, che non a caso viene spesso rappresentata (v. Raffaello, stanza della Segnatura in Vaticano) come “auriga virtutum”, nocchiera delle (altre) virtù.

Visto però che il mondo degli uomini è disseminato di abusi e di ingiustizie, che talvolta neppure l’applicazione del diritto nei tribunali riesce a punire e a risarcire, la giustizia è ritenuta di fatto irraggiungibile, in quanto attributo esclusivo di Dio.

Perciò, chi ha a che fare con provvedimenti giudiziari considerati non coincidenti con il comune sentimento di giustizia, pensa che tanto varrebbe definire i solenni Palazzi (riecco il “potere”!) di giustizia come semplici burocratici “Uffici del diritto”.

La citata forma di “cortocircuito”, che manda in tilt la necessaria correlazione tra diritto e giustizia, risulta poi ampliata dai modelli di vita “a distanza” propri dell’era digitale, e appare inoltre destinata a durare anche nelle nuove frontiere del mondo after pandemia.

Infatti, la perdita del senso di prossimità e di comunità porta con sé l’inasprimento dei conflitti sociali, che inevitabilmente concorrono a “intasare” e stressare la già disastrata organizzazione umana e strumentale dei nostri tribunali.

3.- Riforma della giustizia, cantiere aperto

Avremo altra opportunità per approfondire le molteplici concause del citato cortocircuito. Avremo altresì modo di procedere alla puntuale disamina delle riforme che, in una sorta di cantiere da sempre aperto, cercano attualmente di raddrizzare ancora una volta le sorti della giustizia, in sintonia con gli epocali cambiamenti del nostro tempo.

Qui è solo possibile far cenno all’andazzo del nostro sistema legislativo e regolamentare che, attraverso l’incessante produzione di un profluvio di leggi e di decreti vari, pretende di disciplinare (male) ogni aspetto dell’attuale società nella sua riconosciuta complessità; ignorando così l’insegnamento dello storico latino Tito Livio (59 a.C.–17 d.C.), che avvertiva: “è molto corrotto lo Stato che ha troppe leggi”.

La giungla di norme, caratterizzate da precarietà e da contenuti oscuri, manda quindi in confusione i cittadini, che pertanto si sentono legittimati a ricorrere al fai-da-te nella gestione quotidiana di ciò che è lecito e di ciò che non è consentito.

Inoltre, in tale confuso contesto, a sua volta l’apparato giudiziario trova margini (…e tentazioni) per interpretare e applicare, con la più ampia discrezionalità e talvolta in modo contraddittorio, il controverso quadro normativo; con la conseguenza di dar in questo modo adito alla caduta di prestigio dell’ordine giudiziario e della stessa credibilità della funzione giurisdizionale.

Benito Melchionna
Procuratore Emerito della Repubblica