Snap chat La consumibilità dell’intimità

L’application denominata “Snap chat”, messaggini e immagini che una volta scambiati scompiano dagli smartphone senza lasciare tracce, alla borsa di New York già quattro anni fa, nel 2017, valeva più di 33 miliardi di dollari. Poi è stato il turno di innumerevoli altre app e di collettori del nulla digitale subito miliardari come TikTok. Il mondo delle app è in continuo vorticoso fermento ed in costante caotica evoluzione. Solo lo store Android conta ad oggi oltre 900 milioni di utenti e la sua controparte, l’Apple store, ne conta altri 600 milioni.

Insomma, è nato un nuovo mercato mondiale di servizi collegati a smartphone e device che subito diventano indispensabili ma di cui prima della loro invenzione nessuno sentiva il bisogno. Ormai all’emporio delle app c’è un app per qualsiasi cosa, dai servizi erotici a quelli funebri, dal riconoscimento automatico di muschi e licheni al contatto con i defunti e gli alieni, per il sushi da portare a casa e per i cervelli da portare all’ammasso. Quello delle app è un mondo parallelo alla vita concreta e attuale (sempre più immiserita e intristita dalle limitazioni pandemiche) che ha qualcosa di futile, di immenso e di apocalittico; una realtà frantumata e diffratta dal prisma colorato che scompone la convergenza stritolante dei media digitali e che, però, è allo stesso tempo molto “intelligente” (l’insopportabile aggettivo smart, quello che ora si applica al telelavoro, a cui quasi tutti siamo costretti e inchiodati da casa), “performante”, “competitivo”; ovvero spaventoso e divorante nella sua microfisica insensatezza e intrinseca violenza. Una enorme pancia digitale, sempre piena e sempre vuota, che tutto ingloba e fagocita. Torno per dire sui formidabili fatturati dell’app “Snap chat”. Non so cosa valgano 33 miliardi di dollari, non ne ho neanche un’idea. Non riesco a immaginare quanto tempo e quanta vita si possano comprare con una quantità così enorme di denaro. 

Snap in gergo è lo schiocco delle dita. Quello che capisco è questo: che lo scambio istantaneo del nulla (e della mistificazione tecnologica di tracce omeopatiche di sessualità da freak e i residui di relazioni umane e immagini che ne tracciano le parabole prossime al nulla) genera profitti che definire assurdi e immorali è ancora tentare di ridurre la cosa a parametri commisurati all’etica umana. E c’è chi pensa che occorra lavorare, lavorare, lavorare, faticare per avere diritto a vivere, e che perciò sia necessario aumentare lo sfruttamento con ogni mezzo per costringere uomini e donne a dannarsi per guadagnarsi di che sopravvivere, per continuare a consumare, e che per il solo diritto naturale di campare la vita con dignità si debbano condannare gli esseri umani alla precarietà, alla sottomissione, alla paura, all’infelicità materiale e morale, alla schiavitù di lavori umilianti e alienanti in cui crepare di solitudine, di fatica e di noia, al solo scopo di alimentare senza fine lo schiavismo universale del profitto generato da tecnologie e finanza, alleate e ormai schierate ubiquitariamente contro tutto ciò che resta dell’integrità umana. 

C’è chi guadagna come il padreterno da uno schiocco di dita su un telefonino: Snap! E questa sarebbe una di quelle invenzioni smart di cui un’umanità di circonvenuti e di schiavi dell’inutile non può più fare a meno. 

Mauro F. Minervino
Ph. Antonio Cilurzo

Se è così, bene: tassate in proporzione ai guadagni i gestori di questi mondi paralleli che si stanno mangiando la vita del pianeta e l’intelligenza sensibile del genere umano, tassate Google, tassate gli store elettronici e le piattaforme che vendono le app, tassate le macchine e i guadagni smisurati delle cosmo-tecnologie, e redistribuite con equità la ricchezza, enorme, incommensurabile, che fattura tutto il nulla digitale secondo criteri di garanzia universali e di necessità reale per ciò che resta più urgente e più umano: la dignità e la libertà, la vita di miliardi di schiavi dello sfruttamento e della povertà prodotta dal capitalismo tecnologico, e non rompete più i coglioni con la storia che il lavoro è tutto. Per liberare la vita dal lavoro coatto basterebbe poco. Basta uno snap.

Prof. Mauro F. Minervino
Antropologo