Piangere fa bene: la funzione curativa delle lacrime
Nasciamo piangendo e quelle lacrime sono così importanti per la vita che vengono addirittura indotte se il bambino tace. Ci hai mai pensato? Ebbene se il pianto ci accompagna fin da quando veniamo al mondo, non è certo perché siamo destinati a una vita di sofferenze, ma perché esso svolge una funzione importante, positiva, a differenza di quanto si crede. Nella nostra società il pianto è un tabù, consentito tutt’al più ai bambini o alle donne, secondo uno stereotipo duro a morire che ci vuole più fragili emotivamente. Ma il pianto non è prerogativa dei deboli, anzi, c’è chi addirittura lo definisce “annuncio di vitalità”. Non dimentichiamo che si piange anche di gioia e che piangere fa bene.
I ricercatori hanno tentato, nel corso del tempo, di classificare le varie tipologie di pianto e ne sono uscite delle belle. Pianti di rabbia, di gioia, di commozione, disperati, plateali, sforzati e chi più ne ha più ne metta. E tu di che pianto sei? Scherzi a parte, gli studi condotti sull’argomento sono numerosi e i risultati diversi. In alcuni casi si parla di funzione curativa delle lacrime, che avrebbero un effetto antidepressivo, complice la concentrazione di proteina NGF in esse contenuta. Sempre la scienza, per la precisione una ricerca condotta dal neurologo Michael Trimble, ci suggerisce che gli unici esseri viventi che piangono con un contenuto emotivo sono gli umani. Difficile crederci ma Trimble ne è convinto e nel suo libro cita anche le aree cerebrali coinvolte e il fatto che le lacrime contengano moltissimi elementi chimici che rappresentano elementi di comunicazione emotiva molto efficaci.
Secondo Marco Costa dell’Università di Bologna, che si è specializzato nello studio del pianto, esso serve a livello evoluzionistico ad attirare l’attenzione e l’aiuto, come capita per esempio nei neonati, mentre in età adulta si trasforma da intenso a silenzioso, correlato principalmente a condizioni di stress. Ad Vingerhoets, psicologo olandese dell’Università di Tilburg, sostiene che le lacrime potenzino le relazioni genitori-figli e rafforzino i legami sociali per merito delle emozioni coinvolte. In altri casi le lacrime ci aiutano a comprendere l’importanza di emozioni come l’empatia, l’altruismo, il senso di giustizia, favorendo la connettività sociale.
Piangere non è da deboli, anzi
Al di là degli studi a tema, il problema più grosso è confondere la forza con la rigidità. Una persona che appare imperturbabile anche in situazioni altamente commoventi o tristi, viene spesso considerata indistruttibile ma siamo certi sia proprio così? Non sarà forse che questo tipo di persone temono a tal punto il coinvolgimento emotivo da costringersi a un auto-controllo pericoloso? Essere impassibili non è sinonimo di forza ma di paura. Paura di lasciarsi andare, lasciarsi coinvolgere, mostrarsi per quello che si è davvero, senza filtri. Paura motivata probabilmente da traumi passati irrisolti o da una percezione errata della mascolinità. Perché è vero, gli uomini più delle donne tendono a nascondere le lacrime, assoggettati a un modello di forza antiquato, che li voleva duri e inflessibili sempre e comunque.
Le situazioni commoventi, belle o brutte che siano, hanno il potere di togliere le maschere e per questo, in quei momenti, proviamo la sensazione di essere più uniti, più vicini, di comprenderci a vicenda. Chi si trincera dietro all’imperturbabilità non si concede la possibilità di ascoltare la propria interiorità, le proprie emozioni, nascondendo una fragilità profonda e a volte anche una depressione abilmente mascherata.
Le lacrime ci avvicinano gli uni agli altri perché ci avvicinano alla parte più profonda e vera di noi stessi. E allora diventano strumenti di consapevolezza ma anche di guarigione, in grado di lasciar andare ciò che non serve più. Non è un caso che si parli di “pianto liberatorio”. Ma è importante lasciarle scorrere in modo da non interrompere lo sfogo curativo. A volte non serve nemmeno capire la ragione, il perché di questo bisogno, basta lasciarlo agire. Le lacrime raccontano chi siamo davvero ed è per questo che, quando guardiamo un film che tocca le nostre corde più intime, ci viene da piangere. Purtroppo tendiamo a reprimerci, a vergognarci e ci nascondiamo sotto sorrisi, quasi per minimizzarne l’importanza. Ma se dovessimo davvero vergognarci di qualcosa, beh, non è di certo delle lacrime versate con il cuore ma dell’incapacità di emozionarci e di lasciarci andare.
Anche la tipologia di pianto, o meglio le emozioni che contraddistinguono i nostri pianti, possono tornare utili per capirci meglio. Per esempio si sostiene che le lacrime a base di nostalgia e tristezza esprimano una compressione delle emozioni nella vita quotidiana. Quanto più nostalgia e tristezza sono intense, tanto più nascondiamo ciò che siamo davvero. Come guarire? Lasciandoci andare ma anche, per esempio, immergendoci più spesso nella natura perché essa, in modi spesso impercettibili, ci connette con la nostra interiorità. Tutto questo non significa che le persone più predisposte al pianto siano necessariamente più sensibili, ma è un invito a esprimere liberamente le proprie emozioni perché, nel farlo, non c’è nulla di sbagliato, né di fragile, debole e patetico, come purtroppo si crede spesso.
Paolo Peverini