Moda in Italy: il peccato ma non i peccatori

Arringa di stile… in difesa dei creativi

di Pietro Rebosio

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti”, scriveva Eugenio Montale in Ossi di Seppia.

Non domandiamo l’indomandabile, non pretendiamo l’impretendibile. Se la stampa estera, come ha fatto nella MFW ,  ha manifestato , disprezzo e compatimento nei confronti della nostra moda, non permetto che lo faccia nei confronti dei nostri designers. Nuovi o affermati che siano, si cerca di fare quello che si riesce; quel poco, quel tanto. Il designer, che poi è lo stilista, non è un dipendente a libro paga,  manifesta o cerca di manifestare la sua creatività, prendendo spunto da ciò che lo circonda. Da ciò che lo spiazza , da ciò che lo atterra , dall’ambiente in cui volente o nolente vive o sopravvive, dal paesaggio di cui è culturalmente succube.  Il paesaggio italiano è grottesco, patetico, deprimente.  Reputo già un traguardo che il designer trovi ancora il coraggio di cercare un concept e un mood che detti le collezioni, in anni, così bui ; dove l’unica cultura dominante è quella delle superficialità, delle pornografie, delle volgarità visive fra giornalisti e bloggler che scrivono, guardando le collezioni dall’alto al basso ,senza poi sapere nemmeno la differenza fra il neoclassicismo e il rococò e fra il bouclè e il damascato. Dovrebbero limitarsi a giudicare detersivi e spazzoloni. Questi poveri designers mitragliati da giudizi.

In Italia c’è mancanza di cultura. Non di stile.

Di stile, gli italiani, ne hanno da vendere ,  a differenza di tanti stilisti,  stranieri  che sembra siano Dio e poi fanno degli orrori che sono sotto gli occhi di tutto . Guardate la fine che ha fatto Moschino. Da icona dell’italianità o comunque dell’americanizzazione consapevole a patatine fritte ed Happy meal.