Le conseguenze psicologiche della Didattica a distanza in bambini e adolescenti

La scuola è, per tutti noi, luogo e spazio prezioso perché crea le basi per crescere e maturare. Rappresenta da sempre la possibilità per riconoscersi nell’Altro, riconoscimento rafforzato dal concetto di condivisione.
Dal mio punto di vista, la scuola ha sempre rappresentato le basi della vita stessa, ove è fortemente pensabile fare un’educazione emotiva sul campo. A scuola si insegna e si educa. La Dad, per forza di cose, forse riesce ad insegnare, anche se a fatica, a discapito però dell’educare in senso stretto, concetto denso e profondo, la cui realizzazione ha fatto sempre discutere, anche quando era possibile una frequenza in presenza.
L’emergenza che stiamo attraversando ha messo, e mette quotidianamente, alla prova il sistema scolastico, e non solo.
L’idea di scuola, in quanto luogo fisico e reale, è stata messa da parte per motivi di salute individuale e pubblica, ma non è questo l’oggetto della mia speculazione. Le analisi qui poste in essere sono rivolte alle conseguenze sul piano del benessere psicologico, emotivo e relazionale che, piano piano, si stanno evidenziando, soprattutto per i bambini e per gli adolescenti. Altre saranno visibili in un secondo momento, per ora rimangono latenti e, pertanto, preoccupano e allarmano maggiormente.
Mi accorgo che tutto questo è costantemente ignorato, si parla soltanto di numeri, di compiti, di programmi da finire, di assenze, insomma si parla solo e soltanto di cose pratiche da svolgere. A dirmelo sono soprattutto e direttamente i bambini e i ragazzi che incontro in terapia. Si sentono persi, vuoti, pressati, annoiati, stanchi, demotivati. Non sono visti. Ancora una volta non vengono attenzionati e riconosciuti nei loro bisogni più profondi, ancora una volta nessuno si ferma per chiedere ai ragazzi stessi, in maniera autentica, di cosa hanno veramente bisogno da un punto di vista emotivo e psicologico.
Non basterebbe neppure lo sportello psicologico, ora presente in tutte le scuole o quasi, forse perché la psicologia non sarebbe da intendersi come pratica emergenziale quanto piuttosto come un modus operandi costante, una presenza salda, stabile e sicura. La psicologia negli ambienti scolastici non è qualcosa a cui ricorrere solo se sopraggiunge una pandemia.
Agli studenti tutto questo arriva in maniera risonante e forte, crea ulteriore dolore perché non ci si sente accolti, e il senso di solitudine cresce a dismisura, l’emotività diventa maggiormente intensa e non gestibile, la disregolazione emotiva la fa da padrona.
Bambini e adolescenti, in piena fase di maturazione e di crescita, si ritrovano a lottare con depressione, ansia, stress, paura, isolamento forzato, stanchezza psicofisica, disturbi del sonno, rabbia, scarsa concentrazione e, spesso, non riescono a comunicarlo efficacemente. Non hanno gli strumenti per esprimere la sofferenza che vivono, ed è per questo che presentano, a seconda delle caratteristiche personologiche e dei contesti familiari e sociali a cui appartengono, forme internalizzate o esternalizzate di disagio.
In caso di una reazione internalizzata avremo bambini e ragazzi con depressione, eccessivo isolamento, ansia disfunzionale, dipendenza da internet, disturbi dell’alimentazione.
In caso, invece, di una reazione esternalizzata avremo aggressività, autolesionismo, tentativi di suicidio, abuso di sostanze, disturbo della condotta, problemi e abbandono scolastico.
Sono due facce della stessa medaglia, o meglio dello stesso dolore. Entrambe queste facce dovrebbero destare allarme e preoccupazione piuttosto che reazioni incontrollate e rabbiose da parte di chi, ancora una volta, dovrebbe contenere, accudire e sostenere: gli adulti di riferimento.
E invece, a volte, sembra siano proprio gli adulti a non comprendere e si rischia, nonostante il clima difficile ed emergenziale, di trasformare la relazione con i ragazzi in un teatro fatto di scontri conflittuali, di vere e proprie guerre aperte, luoghi di accuse, di attacchi e difese come avviene tra prede e predatori.
La situazione si complica oltremodo, con il pericolo che i disordini e i disturbi possano cronicizzarsi e diventare anche di difficile trattamento clinico.
I dati attuali sono perturbanti, anche i tentativi di suicidio sono in aumento, il problema non è ancora sottovalutabile, mi preme dirlo perché, nonostante quanto stiamo vivendo, la strada della psicologia, in molti contesti sociali e familiari, sembra non essere ancora percorribile, talvolta anche culturalmente sembra non sia necessario intraprendere un percorso di sostegno psicologico o terapeutico. Come se potesse e dovesse passare da sé, naturalmente.
I bambini e gli adolescenti, anche prima della pandemia, erano parte fragile del sistema sociale, necessitavano di essere riconosciuti nei loro bisogni emotivi e profondi, avevano bisogno di sentirsi al sicuro, la pandemia ha esposto a rischi maggiore le loro fragilità, e se vivono contesti strutturalmente disagiati i rischi aumentano a dismisura. Esistevano ed esistono nuclei familiari aggressivi, abusanti e maltrattanti che, attualmente, si presentano come maggiormente insidiosi e pericolosi. Sono convivenze che non danno via di scampo e che intrappolano senza porre alternative.
I bambini e i ragazzi non possono essere lasciati soli, gli adulti inizino ad ascoltare, un ascolto attento, compassionevole, gentile, non giudicante. Questo ascolto potrebbe essere un ottimo inizio per rimboccarsi le maniche e sostenere i ragazzi, servirebbe anche per comprendere che è tempo di abbassare le aspettative e gli standard eccessivi nei loro confronti nonché per validare i loro stati emotivi.
Sarebbe vantaggioso perché si attiverebbe in loro un sistema di sicurezza e di appagamento piuttosto che un sistema di continuo pericolo e minaccia. Potrebbero così iniziare a esplorare e imparare anche in situazioni complesse come quelle poste dalla Dad. Potrebbero imparare in termini di resilienza. Ascoltino anche gli adulti che non fanno propriamente parte del contesto familiare e scolastico, parlo degli adulti che sono chiamati, per ruolo ricoperto, a pendere decisioni organizzative, politiche e strutturali in modo da scegliere consapevolmente cosa è meglio fare per bambini e ragazzi.
L’ascolto non sarebbe risolutivo, ma sarebbe la base fondante per cambiamenti veri, profondi, e soprattutto, efficaci.

Dott.ssa Rosetta Cappelluccio
Psicologa e Psicoterapeuta