La violenza della musica Trap

“Quando il sole alzò la testa oltre le spalle della notte
C’eran solo cani e fumo e tende capovolte Tirai una freccia in cielo
Per farlo respirare,
Tirai una freccia al vento
Per farlo sanguinare.
La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek”.

Correva l’anno 1981 quando Fabrizio De André raccontava del massacro di Sand Creek, un testo poetico da cui trapela l’umanità e il suo dolore, le paure, la sofferenza, l’inenarrabilità di una triste pagina della storia, all’incirca negli stessi anni cantavano anche i Sex Pistols, i Metallica, i Sepoltura, Marilyn Manson, fino a Burzum e a tanti altri.
Prima di scrivere questo articolo, ho lasciato passare volutamente qualche giorno dalla tragedia di Corinaldo, una serata di divertimento trasformata in panico e morte ingiusta in un solo attimo, ho avuto bisogno di prendere le distanze da un evento di tristezza e distruzione prima di fare un’analisi obiettiva dell’importanza della musica sui comportamenti degli adolescenti.
Anche perché la tragedia di Corinaldo, a mio avviso, non vede come protagonista, o come responsabile principale, la musica e le sue parole, Corinaldo è, tutt’al più, un esempio di non rispetto delle regole di una civile convivenza e della sicurezza nei locali. Ho voluto, prima di scrivere la mia opinione, anche ascoltare canzoni trap, perché non ho mai stimato chi parla senza conoscere, chi esprime opinioni senza prima informarsi.
Sarebbe però semplicistico ridurre tutto a regole e a norme di sicurezza non rispettate, ogni evento non è mai causato da un solo fattore, questo è indubbio, per questo motivo sicuramente si dovrebbe fare una speculazione attenta e approfondita di quella serata di panico mortale.
Vorrei però qui soffermarmi maggiormente sul potere educativo della musica in sé e su quanto essa possa incidere sulla sana maturazione psicologica, emotiva e affettiva degli adolescenti.
Nel panorama musicale moderno, oltre a brani di artisti del passato, classici e non, e ad una offerta diversificata moderna, c’è una massiccia divulgazione di un genere nuovo che conquista soprattutto i giovanissimi, ragazzi tra gli 11 e i 17 anni.
Si tratta della musica trap, una moda musicale che unisce gli Usa e la Francia con l’Italia, non si tratta di un genere derivante dal rap quanto piuttosto di un genere che si contrappone ad esso.
Il termine “trap” etimologicamente deriva da “trappola”, la trappola dei ghetti e del disagio esistenziale.
Chi scrive i testi trap cerca di emergere dal suo dolore, dalle difficoltà che la vita gli ha presentato, in genere i cantanti trap hanno una storia di vita complicata, contraddistinta da mancanze, assenze, abusi e anaffettività. Provano ad emergere dal dolore attraverso la musica, questo sarebbe nobile, o forse lo è, se i testi non fossero però portavoce di messaggi di volgarità, messaggi diretti, effimeri, che lasciano il tempo che trova.
I testi, di fatto, sono un miscuglio di violenza, droga, volgarità, sesso. I temi sono di una forte e significativa povertà educativa, potrebbero incitare alla violenza, sono parole forti dal contenuto misero.
La trap è un fenomeno culturale e musicale adolescenziale, incarna esattamente tutto ciò che è trash.
Ma è davvero pericolosa? Il problema di alcuni comportamenti disfunzionali è da ricercare nella trap? O potremmo guardare altrove?
I trapper comunicano un vuoto esistenziale proprio, offrono modelli disincantati di individualismo, modelli trasgressivi, superficiali e “sempliciotti”. I loro messaggi sono, per lo più, violenti, soprattutto contro il genere femminile.
Con le loro canzoni descrivono situazioni senza usare metafore, senza ricorrere alla fantasia, all’immaginazione poetica, incarnano un modello di desolazione disperata, sono immediati e scontati, non impiegano tempo alcuno per arrivare all’apice del successo, giocano la propria partita su instagram, piazza privilegiata della comunicazione di cui sono portavoce, conquistando i giovanissimi in un momento delicato della crescita.
Il problema però non è, e non può essere mai in assoluto, un genere musicale; un filone musicale può essere, senz’altro, la fotografia di una cultura, ma non può diventare il capro espiatorio di ogni male, sarebbe limitativo ma, soprattutto, pericoloso.
Non servirebbe censurare la trap, la violenza nella musica c’è sempre stata, una violenza cantata in modo più aulico, da un punto di vista musicale, l’incitazione all’aggressività l’abbiamo ascoltata nei Sex Pistols e in altri del passato, senza per questo compromettere la riuscita esistenziale dei più giovani.
Servirebbe invece intervenire sul valore educativo nella società, bisognerebbe intervenire nelle scuole, nelle famiglie e nelle principali istituzioni che contribuiscono alla crescita di ognuno.
Il problema principale è sempre la fragilità dei nostri ragazzi, ragazzi che hanno bisogno di essere riconosciuti prima di aggrapparsi alla musica trap o a qualsiasi altra cosa o persona, hanno bisogno che qualcuno rimanga sul loro vissuto emotivo, senza giudizio, hanno bisogno di essere ascoltati, compresi e guidati, altrimenti è scontato che cerchino rifugio altrove, in luoghi diversi da quelli che gli adulti sperano. Sperare non basta, accompagnare, con l’esempio pratico e con l’amore vero, è di primaria importanza.
Spostiamo lo sguardo altrove, guardiamo oltre la punta del nostro naso, per avere risvolti educativi importanti non basta puntare il dito contro chi canta testi scomodi, anche i trapper vengono fuori da vissuti emotivi difficili e mal gestiti, anche loro sono figli della nostra società e della nostra cultura.
I bambini e gli adolescenti sono in fase di crescita e maturazione, hanno bisogno di sostegno autentico, un sostegno che realmente aiuta, se questo avvenisse non ci sarebbe bisogno di spaventarsi e di preoccuparsi della musica Trap.

Rosetta Cappelluccio

Psicologa, Psicoterapeuta