Francesco Moscato alias Vizzarru e la sua condanna per brigantaggio
La sua banda operava su tutto il territorio vibonese. La sua prima incursione avviene a Pizzoni, il 17 novembre 1806, dove uccisero 4 persone (dal 1806 al 1810 il Moscato uccise e fece uccidere 21 persone; tra questi 4 donne, 2 frati e molti giovani). Sulla figura di Francesco Moscato di Vazzano, nella provincia di Vibo Valentia, trova tra i primi cronisti del brigante Alexandre Dumas. L’autore del best seller “I tre Moschettieri”, nei suoi racconti sottolinea quanto “questa storia è stata scritta su documenti inediti e sconosciuti, scoperti negli archivi segreti della polizia e degli affari esteri di Napoli”. Dumas racconta del brigante vibonese che amava tagliuzzare il nemico, per poi cucinarlo in una caldaia e condividerne il brodino con la sua banda.[1] Da quanto scritto dal viaggiatore francese nelle terre di Calabria, il “Vizzarro”, il più temuto dei briganti calabresi, nutriva i suoi cani con carne umana, compresa quella del capitano della Guardia Nazionale che faceva parte dello Stato Maggiore del Generale Partennoaux. Il Vizzarro nacque a Vazzano, egli era garzone (stalliere) presso la nobile famiglia del posto Barone De Sanctis, della quale aveva sedotto la figlia Felicia e – scrive Dumas- “sorpreso in flagrante dai fratelli, questi lo crivellarono di pugnalate e lo lasciarano per morto sopra un mucchio di letame. Trasportato nella chiesa del villaggio, il suo corpo doveva rimanervi esposto fino all’indomani […] Nella notte riprese i sensi, al chiarore di una lampada che ardeva innanzi ad una Madonna, riconobbe ove era, uscì dalla bara, oltrepassò la soglia della chiesa e si trascinò fino alla montagna”.[2] Tra le alture di Soriano Calabro conobbe altri fuggiaschi per banditismo i quali lo riconobbero loro capo. Secondo lo studio dell’Abate Antonio Fuscà, i fratelli si erano accorti che la sottana della sorella, su davanti era più corta del didietro, suscitando dubbi che nascondesse una gravidanza, circostanza che avrebbe causato disonore alla nobile famiglia. Una domenica, mentre tutta la popolazione di Vazzano, compresa la famiglia De Santis era riunita a seguire la celebrazione della Santa Messa, Bizzarro[3] si presentò alla porta del sacro luogo[4] ordinando alla gente di uscire e subito dopo uccise i cinque figli del barone: i primi due nella navata centrale della chiesa e gli altri tre dietro l’altare dove si erano nascosti. Ma la vendetta non era finita. Con un gruppo dei suoi gregari si dirige verso la casa dell’ex padrone e portatosi dentro lo trova già morente sul letto; la figlia-amante del Vizzarro intuisce la il pensiero del giovane e provò a dissuaderlo, ma questi la allontana con uno schiaffo e fende una pugnalata nel petto del De Santis uccidendolo. Felicia dapprima sviene tra le braccia del brigante, ma poi lei stessa fugge con lui diventando una feroce brigantessa,[5]la quale fu sorpresa durante un appostamento dai soldati che la condussero nelle prigioni di Monteleone (odierna Vibo Valentia), dove morì pochi mesi dopo.
[1] A. Dumas; Gioacchino Murat in Russia, volume VIII, Tip. Chiaia, Napoli nel 1863, p. 128. L’autore francese precisa in quest’opera che le informazioni oltre alla documentazione della gendarmeria sono state attinte da dirette informazioni della gente del posto; ciò farebbe indurre ad una sua reale presenza di Dumas a Vazzano. Del brigante Moscato detto “Vizzarru” se ne occupò lo scrittore vibonese Sharo Gambino nella sua opera “ Vizzarro il brigantaggio calabrese nel decennio napoleonico”, 2003.
[2] Ibidem
[3] Così è scritto il soprannome del brigante Moscato nell’opera di Dumas.
[4] Probabilmente la Chiesa della Madonna del Rosario.
[5] Altre versioni riportano che Francesco Moscato venne catturato a Catanzaro e fu condannato a seguito di un processo a 4 anni da scontare a Procida dove maturò la sua vendetta. È questo il periodo che i francesi introdurranno le Truppe Campestri – i precursori dello Squadrone Cacciatori di Calabria, uomini che sanno addentrarsi nelle zone più impervie e con il loro coraggio e la loro spregiudicatezza catturarono diversi briganti e banditi assicurandoli alla giustizia per la condanna a morte o ai lavori forzati.
Morta l’amata, il Vizzarro divenne più crudele. Uccideva un uomo a prescindere per provare una nuova qualità di polvere fattosi recapitare dalla Sicilia.[1] In questo periodo la sua latitanza era tra Nicotera e Rosarno. Era diventato l’incubo del Generale Mahnes che aveva messo una taglia di mille ducati per la sua cattura.[2] Nei fascicoli 1224-1225, custoditi nella Biblioteca Nazionale di Parigi, alla voce “Il Bizzarro”, si legge che questi ebbe almeno 4 amanti e che una di queste, la Ricciardi, lo uccise per riscuotere la taglia[3] vivendo, poi, felicemente con il Tenente Giuseppe Pugliese di Ortilia.
[1] Saverio Fortunato/Giuseppe Cinquegrana; L’ingiusto processo, Edizioni criminologia.it, 2012, in cui si fa riferimento all’ingresso trionfante del Vizzarro a Palmi “marciando alla testa di un centinaio di uomini a cavallo e seguito da una banda numerosa di briganti a piedi, fu ricevuto dal clero e dalle autorità … condotto in chiesa fu cantato il Te Deum, la festa terminò al grido di Viva il Re, Viva Maria Carolina, Viva il Vizzarro”. p.46.
[2] Per un maggiore approfondimento rimandiamo a Fortunato/Cinquegrana, op.cit. pp. 43-48.
[3] Come si legge nel foglio 101, la Ricciardi lo uccise a ore tre dopo mezzanotte del 20 gennaio 1883. Nei fogli 102 e 103, si si legge di una corrispondenza di rapporti che il Vizzarro aveva con uomini della Guardia Civica per scambio di favori, quanto di rapporti personali con un certo Domenico Gullo di Maierato e un certo Domenico Signoretta di Filogaso.
Pino Cinquegrana
Antropologo