CLIMATE CHANGE NELL’ERA DELLE TRANSAZIONI

Benito Melchionna – Procuratore emerito della Repubblica

1. Shock climatico e sviluppo green

Molti sono i sintomi obiettivi che comprovano lo stato febbrile del nostro pianeta a causa del progressivo surriscaldamento del clima. Gli esperti assicurano tuttavia che in realtà bruschi cambiamenti climatici si sono sempre avvicendati negli oltre quattro miliardi di anni, che segnano la metà del burrascoso percorso della Terra intorno al sole. Il guaio è però che, stando ai riscontri più accreditati, in conseguenza della selvaggia industrializzazione e della sovrappopolazione del globo, la crisi climatica ha subìto negli ultimi tempi una forte accelerazione. Tale da provocare il moltiplicarsi di distruttivi eventi estremi, che minacciano la sopravvivenza dell’umanità e fanno finanche temere la sesta estinzione dei grandi mammiferi. Con l’aumento delle temperature medie, si verificano dunque: effetto serra, siccità senza precedenti con avanzata desertificazione, innalzamento dei livelli del mare, perdita del 50% dei nostri ghiacciai, migrazioni per motivi climatici, alluvioni, allagamenti, ecc.
Senza poi trascurare le frane che di frequente si abbattono sui territori più delicati e fragili dal punto di vista idrogeologico; suoli peraltro privi di manutenzione ordinaria, degradati e consumati da cementificazione violenta e -tra un condono e l’altro- da abusivismo di diffusa complicità (vedi, da ultimo, la strage di Casamicciola-Ischia, 26 novembre 2022). Tali sconvolgimenti, indubbiamente di natura complessa e ancora da analizzare attraverso studi più mirati, si riscontrano nei diversi contesti in fase di deglobalizzazione; fenomeni che pertanto è solo possibile e (doveroso!) cercare di contrastare migliorando noi stessi e i nostri stili di vita.
Cominciando allora a praticare nella quotidianità l’etica della responsabilità, già indagata dal sociologo tedesco Max Weber (1864-1920). Ciò nel dichiarato intento di valutare ex ante le nostre azioni, anche con riguardo agli effetti imprevedibili che esse possono provocare; a maggior ragione nell’era del consumismo, dello scarto e del rifiuto, “prossimo” compreso.
Infatti, soltanto da una profonda e condivisa conversione morale potrebbe prendere concreto e fecondo avvio uno sviluppo “green”. Il solo idoneo a promuovere quel progresso “verde”, a chiacchere sbandierato e auspicato in tutte le salse; ma di fatto tuttora frenato dalle oscure manovre dei soliti padroni del “vapore” politico-finanziario.  Soggetti ai quali potrebbe quindi ben adattarsi l’espressione “après moi le déluge” (dopo di me il diluvio) riferita dal re di Francia Luigi XV (1710-1774) alla marchesa di Pompadour, che lo esortava invano a occuparsi degli affari dello Stato: altro che amore dei figli, altro che amicizia sociale!

2. Parola d’ordine: sostenibilità

Avendo smarrito l’armonia con la natura, l’umanità – priva ormai di memoria –  non sembra aver preso ancora piena coscienza di trovarsi sull’orlo del precipizio. Tra l’altro, mentre è costretto a contare i morti e a fare i conti con i disastri dell’emergenza climatica, l’attuale geopolitica di guerra si scopre altresì impreparata ad affrontare le tante altre scabrose sfide epocali, quali la rivoluzione tecnologica, la transizione ecologica/energetica, la visione del futuro dei giovani, ecc.
In un contesto così preoccupante, molti incalzano le istituzioni nazionali e sovranazionali a rimboccarsi le maniche e a correre in soccorso della madre Terra in pericolo. A questo riguardo, gli antichi greci potevano ricorrere, in modo spiccio, alla mitologica dea Gaia (la Gea dei romani, da cui geo-grafia), personificazione della forza generatrice di tutti gli organismi viventi. Ciò non tanto per invocare la salvezza del pianeta (che procede a modo suo da miliardi di anni), quanto per garantire alle varie specie… esistenti di passaggio, un ambiente sicuro e salubre.
In ogni caso, risulta ora difficile riuscire a declinare nuovi valori idonei ad interpretare una società in rapida trasformazione, anche all’esito (?) della pandemia da Covid-19 e della brutale guerra di aggressione ai danni dell’Ucraina.
Intanto, da un lato la tecnica viene ormai sacralizzata e considerata la forma più alta di razionalità mai raggiunta. Dall’altro, è però evidente che la transizione tecnologica, nell’offrire all’uomo molteplici vantaggi pratici, cerca di “umanizzarsi” nel caotico intreccio tra ancestralità e modernità; come è agevole sperimentare attraverso l’uso sempre più diffuso della “machina loquens”, ossia degli artefatti “parlanti”, tipo telefonino, ecc.
L’homo sapiens invece si “macchinizza”, e quindi si agita spaesato nel mondo virtuale delle relazioni liquide prive di umanità, e che tra l’altro sollevano dubbi inquietanti nell’ibridismo dei linguaggi; così da confondere realtà e finzione, verità e fake news, informazione di propaganda e di dati certi.
La transizione digitale e lo sviluppo informatico, aprendosi comunque alle innovazioni e guardando al futuro dei giovani, offrono l’opportunità di ripensare il tradizionale capitalismo basato sul consumo usa e getta, sul profitto predatorio e sul mercato competitivo.
In tal modo potrebbe dunque affermarsi la visione di una nuova economia, finalmente armonizzata con l’ecologia e in grado di nutrirsi alle sollecitazioni di una più dinamica cultura d’impresa.
Una cultura quest’ultima volta a ridisegnare modelli economici aperti aduno sviluppo che ruota appunto introno alla parola d’ordine “sostenibilità”. La quale (risalente al noto Rapporto Bruntland del 1987) sta a indicare, nella gestione collaborativa e condivisa dei rischi connessi alla rivoluzione tecnologica in atto, la piena compatibilità con gli equilibri sociali, la salvaguardia e la conservazione delle risorse ambientali. Ecco perché la sostenibilità va ormai assumendo valenze sempre più estese nella ricerca dell’efficienza/efficacia dei processi produttivi e commerciali, tanto più considerata l’attuale scarsità degli ingredienti naturali (acqua, suolo, energia).
Di conseguenza, il rating (valutazione) di sostenibilità viene comunemente definito con l’acronimo Esg (enviroment, social, governance), utilizzato appunto per misurare l’impatto ambientale dei prodotti, le soglie di inquinamento da PM10, le reti di connessione digitale, il consumo delle risorse energetiche, ecc.

 3. Cop27 sul clima, un (quasi) fallimento     

Per tentare di rimediare ai disastri del clima anomalo, nel 1992 veniva siglata a Rio de Janeiro la Convenzione quadro delle Nazioni Unite (ONU) sui cambiamenti climatici. Era quindi prevista una annuale Conferenza delle Parti (Cop), cioè dei Paesi aderenti alla Convenzione stessa.
La 27esima Conferenza delle Parti (Cop27, dopo la prima di Berlino nel 1995), finalizzata a contrastare il global warming, svoltasi dal 6 al 18 novembre 2022 nella nota località turistica di Sharm el-Sheikh (Egitto), si è conclusa con un (quasi) nulla di fatto, come del resto tutte le precedenti.
Pertanto, in mancanza di Accordi condivisi tra le delegazioni presenti di 179 Paesi, la Conferenza stessa si è ridotta alla solita parata convegnistica, anziché trasformarsi nella (ultima?) concreta occasione per prendere di petto -assieme e con lealtà- i problemi globali che minacciano l’umanità.
È emerso dunque un mondo in frammentazione, tipo condominio litigioso, in un’era segnata da abbondanza di mezzi e da scarsità di fini,nell’intreccio intricato di contrapposti interessi tra circa 200 Paesi con storie e culture molto diverse.
In ogni caso, sono stati rinnovati gli obiettivi più stringenti di riduzione delle emissioni nocive (Co2) entro il 2030 e quelli, in attesa di tempi migliori, di uscita dall’energia fossile e di neutralità climatica entro il 2050.
Il documento finale, allo scopo di evitare il pieno fallimento della Cop27, stabilisce infine il raggiungimento di un Accordo per definire il risarcimento dei danni che il cambiamento climatico da tempo provoca nei Paesi vulnerabili e poveri.
Ad ogni buon fine, anche se a molti capiterà di storcere il naso, sarebbe forse utile prestare attenzione a quanto osserva il geologo bergamasco Diego Marsetti, il quale scrive (v. Eco di Bergamo, 13/11/2022): “attribuire alle attività umane il surriscaldamento globale è senza fondamento”. Ciò perché “il cambiamento climatico e l’inquinamento sono due cose completamente diverse”; per cui, se “l’inquinamento si può combattere diminuendo le emissioni anomale in atmosfera”, poco invece si può fare contro il surriscaldamento globale, dato che, come sostengono alcuni scienziati, al riguardo “l’attività umana incide per il 5%, mentre per il 95% dipende da fenomeni naturali legati al Sole”.

Dott. Benito Melchionna 
Procuratore Emerito della Repubblica