Banditi e Briganti
Tra il 1860 e il 1865, nel
Mezzogiorno d’Italia, si verificarono numerosi episodi del fenomeno che passò
alla storia sotto il nome di brigantaggio,
ma che andrebbe meglio identificato
come banditismo sociale.[1] Contro i briganti[2]
fu istituito un vero e proprio stato di guerra, con la completa
militarizzazione del territorio con assoluti poteri (sostenuti dalla legge Pica
del 1863)[3]
ai generali Enrico Cialdini (1811-1892)
e Alessandro La Marmora
(1799-1855) poi al comando di 163.000 uomini – in prevalenza bersaglieri e
della cavalleria – che eseguirono
spietate rappresaglie facendo terra bruciata intorno alle bande per poi
annientarle sul campo.[4]
Il carcere di Fenestrelle, noto come “forte di Fenestrelle” fu eretto tra i
secoli XVIII e XIX secolo (provincia di Torino) da Luigi XIV e segnò la fine di briganti e brigantesse.[5] Proprio durante il decennio della
dominazione francese, e precisamente tra il 1807 e il 1812, sui piani della
corona, l’ultimo contrafforte occidentale dell’Aspromonte, tra i territori di
Palmi, Seminara, Melicuccà e Bagnara, in provincia di Reggio Calabria (Giuseppe
Silvestri Silva, Memorie storiche della città di Palmi, Genova,1930), si sono
svolte le drammatiche vicende delle quali è stata protagonista Francesca La
Gamba, la prima brigantessa di età moderna, come la definisce Valentino Romano
nel suo volume Brigantesse(Napoli, 2007, pag. 28), che hanno ispirato il
romanzo storico La capitanessa dei piani della Corona di Attilio Foti (Cosenza,
2002).[6]
Nella sala della Gran
Corte della Vicaria a Napoli veniva esposta nel XIX secolo la sentenza di bando affinché tutti i cittadini avessero potuto avere notizia.
Ogni sei mesi veniva “gridato” nella
[1] I briganti operavano, per la maggior parte, nell’entroterra abruzzese, lucano, campano, pugliese e calabrese. Spesso finirono con il rappresentare, per i contadini, l’unica speranza di difesa contro i soprusi padronali.
[2] Il termine deriva dal francese brigant che significa malandrino, attaccabrighe.
[3] Cfr Loretta De Felice; Fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate nell’Archivio centrale dello Stato Tribunali militari straordinari, 1998, in cui “La legge del 15 agosto 1863 n. 1409, detta legge Piea (dal nome del proponente), dettava disposizioni «dirette alla repressione del brigantaggio». Se, come dice il Molfese « … il brigantaggio dimostrava una vitalità che autorizzava le più nere previsioni per il 1863»1, l’emanazione di tale legge dovette rappresentare il mezzo per frenare il fenomeno brigantesco. Nei primi intenti la legge doveva restare in vigore fino al 31 dicembre 1863, ma nuove leggi di modifica e proroghe ne protrassero l’applicazione al 3 1 dicembre 18652 • L’emanazione della legge mise in moto un meccanismo che, per funzionare in modo idoneo e corretto, ebbe bisogno non solo di nuove leggi ma anche di numerose disposizioni circolari che regolassero la materia e risolvesseroi quesiti insorgenti in merito all’interpretazione e quindi all’applicazione dell’uno o dell’altro articolo di legge. La competenza a giudicare su briganti e loro complici veniva sottratta alla giurisdizione ordinaria ed attribuita ai tribunali militari che la esercitavano nell’ambito territoriale di quelle provincie dichiarate «infestate dal brigantaggio » con R.D. del 20 agosto 1863 n. 1414: « … Provincie di Abruzzo Citeriore, Abruzzo Ulteriore II, Basilicata, Benevento, Calabria Citeriore, Calabria Ulteriore II, Capitanata, Molise, Principato Citeriore, Principato Ulteriore e Terra di Lavoro». P,VII
[4] cfr Francesco Saverio Nitti, Scritti sulla Questione meridionale, vol. IV, primo e secondo tomo, La Terza, Bari, 1968,: “in 40 anni, il Sud ha dato ciò che poteva e ciò che non poteva, e in cambio ha ricevuto assai poco, e soprattutto ha ricevuto assai male…il brigantaggio non è altro che miseria, è miseria estrema, disperata… per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta la giustizia stessa”. P. 44
[5] Anche le donne assunsero ruoli fondamentali come capi mandamenti. Diverse di loro scelsero volontariamente la latitanza per stare insieme ai propri uomini; la stampa dell’epoca le descrive solo come donne a disposizione del brigante come vere e proprie drude: donne amanti, concubine per assopire i piaceri del brigante. In realtà la storiografia parla di vere e proprie donne combattenti, come Filomena Pennacchio o ancora Caterina di Cesare.
[6] http://laveritadininconaco.altervista.org/francesca-la-gamba-fu-la-prima-brigantessa-calabrese/
piazza maggiore della città, al popolo, una lista generale dei banditi.[1] Furono colpiti i briganti e chi li proteggeva, si svolsero processi sommari, fucilazioni, incendi e saccheggi, in una parola, come ebbe a scrivere Carlo V, viceré di Napoli: la Justice est grand désordre (la Giustizia è un gran disordine). Più tardi Carlo di Borbone scriverà: in queste terre gli atti più indegni sono considerati normali[2]. Dal 1861 al 1865 furono uccisi più di 5200 briganti o ritenuti tali e altrettanti furono arrestati. Tra la fine dei secoli XIX e XX , le terre di Calabria vivono una condizione di miseria rilegata tra due mali: restare o emigrare; rimanere al servizio del signorotto del paese o fuggire verso un altrove del cambiamento economico e sociale. Le varie procure calabresi scriveranno: “non si può pretendere di rassicurare la società se prima non siano eliminate le cause economiche cui mettono capo le deplorevoli condizioni di questa regione”.[3] Nelle relazioni ministeriali sull’azione dei tribunali di Catanzaro, Monteleone (odierna Vibo Valentia) e Nicastro si legge che nel 1894 i procedimenti verso reati erano stati 3684 relativi a 4810 imputati e nell’anno successivo i reati aumentarono divenendo 4365 relativi a 5838 imputati. Di questi 850 riguardavano reati contro la persona; 521 erano di competenza pretoria e 1472 erano reati contro la proprietà.[4] Alla Regia Procura di Monteleone, nel 1895, risultano denunciati 2252 reati ripartiti come segue: 140 contro la pubblica amministrazione; 71 contro la fede pubblica; 29 contro la pubblica incolumità; 30 contro il buon costume e l’ordine delle famiglie; 514 contro la persona; 886 contro la proprietà; 23 reati previsti dalle leggi speciali (contravvenzionati). Il brigantaggio diventa ‘ndrangheta seppure studiosi dei due fenomeni li distinguono secondo letture antropiche diverse:
‘ndrangheta evoluzione del brigantaggio Secondo lo studioso Raffaele Pinto Nonostante i risultati raggiunti dalla Legge Pica, già nel 1870, il fenomeno del brigantaggio risorgeva, prendeva forza e si riorganizzava in terribili associazioni delinquenziali famose come la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta. | brigantaggio e ‘ndrangheta due fenomeni differenti secondo Enzo Ciconte I due fenomeni non sono assimilabili o paragonabili in alcun modo, perché sono disti e separati sul piano temporale, geografico e politico. |
Nell’estratto dello
studioso Vincenzo Villella (1995,
293-94), le forze economiche della provincia di Catanzaro, sul finire del XIX
secolo, nella relazione del barone Marincola San Floro, emerge che “i
rappresentanti del Pubblico Ministero dei tre tribunali di Catanzaro,
Monteleone e Nicastro sono concordi nel sottolineare l’influenza dell’educazione e del benessere
materiale … per cui una maggiore moralità nei costumi e una maggiore istruzione tra la popolazione vengono indicati come i migliori mezzi preventivi del reato”. La relazione conclude puntualizzando che “la povertà estrema degli agricoltori,
ridotti meri strumenti di lavoro, non mai elevati alle condizioni di mezzadri;
la rozzezza che al minimo urto si traduce in violenza, in brutalità quale conseguenza
[1] Dalla mia presentazione del volume del Prof. Enzo Ciconte della Università Roma 3: “Banditi e Briganti”, Filadelfia, 2012.
[2] Ibidem
[3] Cfr Giuseppe Grano, Lavori compiuti nel circondario del Tribunale Civile e correzionale, tipografia Troise, Monteleone, 1885.
[4] G. Cinquegrana; L’aggressività criminale nella Calabria di fine Ottocento, pp.44-45 in Temi Vibonesi, Rivista di Dottrina e Giurisprudenza, Adhoc, Vibo Valentia, 2009.
della vita a cui sono costretti. Il mancato e reale intervento politico in questa direzione ha proiettato nel tempo l’esplodere della ‘ndrangheta moderna.
Nel carteggio del Tribunale Militale di Catanzaro a cura della ricercatrice Loretta De Felice (1988) vengono riportate le seguenti buste di riferimento a banditi processati da questo Tribunale dell’area dell’attuale provincia vibonese:
Busta 76
941.27. Destito Giuseppe, fu Domenico, nato e dom.to a Filadelfia (Nicastro), contadino, d’anni 28, di tenuto … ; rivolta … ferimento … spia di briganti …banda armata … vagabondo e sospetto ladro .. . ott. – di c. 1863
busta 98
1 170.446. Teti Francesco alias «Selvaggio», di Francesco, da Polia, di anni 23, ditenuto… ; Parise Brigida, fu Nicola, [di Polia], contadina, di anni 40, ditenuta … ; Parise Antonio, fu Nicola, [di Polia], taglialegna, di anni 51 – N .B. Quest’ultimo fu escarcerato … ; connivenza al brigantaggio. giu. – ott. 1865
Busta 100
1201.531. Papaleo :\1aria Teresa, fu Domenico, da Monteleone, ditenuta … ;Catrabone [o Catrambone] Teresa, fu Marino, da Gasperina, ditenuta … ; Gualtieri Anna Maria, di Nicola, da Catanzaro, ditenuta … ; connivenza in brigantaggio. ago. – ott. 1865 Banda <<Corea»; briganti Pallaria Tomaso, Muraca Vincenzo.
Busta 101
1207.540. Iannello Alfonso, fu Giuseppe, da Drappia (Monteleone), contadino, di anni 40, ditenuto … ; brigantaggio. ago. – ott. 1865
Bande Lodiacono o Lo Iacono Francesco di Filadelfia, <<Corea», Bianco; brigante Belvedere Caterina di Curinga .[1]
[1] Nell’Archivio di Stato di Catanzaro, nel fascicolo sui processi politici e brigantaggio al carteggio numero 1076, Distretto di Monteleone, si fa riferimento al Comune di Maierato (provincia di Vibo Valentia) in merito ai fatti del 28 settembre 1830 tra Sebastiano Lo Schiavo e Cardinale Teresa.
Pino Cinquegrana
Antropologo