Abusi, violenze e molestie nel mondo dello sport

Se si guarda il mondo dello sport da una certa prospettiva ci si trova di fronte ad un contenitore di sogni, speranze, dolore, disciplina, duro allenamento, soddisfazioni, aspettative, grinta e perseveranza.

Si è, inoltre, portati a credere che sia, per definizione, anche un luogo sicuro poiché i genitori, fin dalla tenera età, affidano i propri figli a maestri e ad allenatori con uno spirito di sana fiducia.

La maturazione psicofisica di bambini e ragazzi è, pertanto, direttamente collegata pure agli ambienti sportivi frequentati e, nonostante sia doveroso sottolineare, a gran voce, la ricchezza e il valore profondo propri degli ambiti sportivi, è altrettanto indispensabile ricordare che, negli stessi luoghi, nascostamente, possono aggirarsi ombre e oscurità poco rasserenanti e rassicuranti.

Ampliando, dunque, lo sguardo e scorgendo zone poco confortanti intrise in una preziosità evidente, si potrebbe anche dire che lo sport fa di certo bene ma può, tristemente, talvolta fare persino male, molto male.

Perché un’esperienza piena di gioia e di entusiasmo, qual è lo sport, potrebbe comportare finanche ferite e sofferenze?

Negli ultimi anni, notizie di cronaca hanno messo, e mettono costantemente in luce fenomeni ed episodi molto conosciuti in altri contesti ma inesplorati ed ignoti nello sport. Si tratta di abusi, molestie, stupri e violenze perpetrate, ancora una volta, per mano di chi dovrebbe guidare, tutelare e difendere.

Mi piacerebbe scrivere che si tratta di casi isolati e sporadici, non perché i pochi casi potrebbero anche essere trascurati ma perché sarebbe più semplice venirne fuori, ed invece, proprio come succede, il più delle volte, in fatto di soprusi e violenze, c’è un mondo sommerso che merita di essere scoperto per lenire dolori e patimenti che richiedono cura ed attenzione.

Il problema è di portata mondiale e, per tal motivo, esistono rapporti annuali globali stilati e pubblicati per avere contezza dei danni e delle mostruosità da affrontare. I numeri sono altissimi e le vittime sono, soprattutto, minorenni e donne.

I dati, purtroppo, non sono sempre del tutto veritieri e trasparenti visto che gli abusi sono addirittura e amaramente celati. Molti atleti trovano il coraggio di parlare e denunciare storie di vessazioni e di maltrattamenti soltanto in età adulta, o comunque a posteriori.

Si ha paura, e tanta.

Si tace, spesse volte, per mancanza di validi supporti e, anche quando si contesta e si incrimina, ci sono meschine difese messe in atto per non infangare il nome e la reputazione di rinomate società sportive.

E si rimane, in questo modo, da soli in un terrificante e osceno silenzio che arriva a frantumare dentro e a causare stati psicopatologici, come ansia, disturbi alimentari, depressione, PTSD, idee suicidarie nonché drop out sportivi.

Gli abusi, le molestie e le orripilanti violenze non si verificano esclusivamente nei siti sportivi dilettantistici, dedicati alla crescita di bambini e ragazzi, ma anche in seno allo sport professionistico, ove i report evidenziano storie di abusi ricevuti dai coach, da compagni più grandi o da dirigenti ed episodi di pratica sportiva negligente e di bullismo.

Cosa dovrebbe cambiare?

Bisognerebbe anzitutto lavorare a monte per cambiare radicalmente l’atteggiamento che si ha nello sport, voltato prettamente, e talvolta unicamente, al successo della performance e a null’altro.

È una modifica necessaria da attuare nella cultura radicata nel raggiungimento degli obiettivi a discapito dell’importanza dell’atleta come persona.

Molti sportivi vivono nella minaccia e nella prepotenza di chi agisce con violenza psicologica e fisica, rammentando che il silenzio e il conformarsi sono prerogative necessarie per non far sfumare sogni e passioni.

In un mondo, quindi, fatto di medaglie e trofei scintillanti si nascondono mortificazioni e umiliazioni inenarrabili che asfaltano con durezza il benessere di atleti e atlete.

Lo sport diventa in tal maniera mostruoso e terrifico per bambini e ragazzi disorientati e sotto pressione, e anche per adulti che tanto hanno faticato per la propria aspirazione.

Si tratta di abusi e angherie che occultano patimenti e tormenti che segnano dentro, forse per sempre.

È inverosimile che non si dedichino tempo e spazio per sostenere psicologicamente gli sportivi al di là della prestazione sportiva in sé.

È essenziale e urgente educare al rispetto e all’amore per se stessi, nonché insegnare alla consapevolezza, ai bisogni emotivi, ai propri diritti e all’assertività. Una sana e ferma consapevolezza aiuterebbe gli sportivi anche a dare un nome alle violenze subite e alle disregolazioni emotive che ne possono derivare, imparando che la vittoria e il successo sono secondari ad una vita degna di essere vissuta.

L’amore per se stessi e il riconoscimento del valore, dell’adeguatezza e dell’amabilità della propria persona sono fondamentali per non sottostare a relazioni interpersonali di dipendenza emotiva, psicologica e affettiva.

Gli atti di violenza sono tanti e si è, spesso, condizionati da una cultura e da un’educazione che minimizza e banalizza oltraggi catalogabili tutt’altro che come piccolezze. Mi riferisco a frasi spregevoli, a giochi psicologici manipolatori umilianti e sprezzanti, a fenomeni quali hazing, negligence, cyberbullismo, bullismo, molestie verbali e fisiche.

È necessario lavorare, costantemente e preventivamente, sui piccoli, in quanto adulti del futuro e, in parallelo, sostenere chi tace per il timore di non essere creduto e di essere accusato per i terribili malefatti degli altri.

Credo sia, altresì, necessario intervenire a più livelli su tutti gli adulti degli scenari dello sport per aiutare a riconoscere i fattori di rischio e per supportare con professionalità e cognizione di causa.

Nel mio lavoro sono, quotidianamente, a contatto con storie e racconti di abusi e soprusi, mi occupo di interventi di sostegno e di cura del malessere appartenente a contesti di violenza e di brutalità. Conosco il dolore, lo incontro negli occhi di chi si affida a me, lo tocco con mano e lo sento vibrare dentro ogni volta che occhi turbati e spaventati chiedono aiuto anche in silenzio, un silenzio assordante che non può ricevere in cambio solo altro silenzio, non basterebbe. Partiamo dalle basi, sradichiamo le amarezze e i supplizi prima ancora che possano ferire.

Dott.ssa Rosetta Cappelluccio
Psicologa Psicoterapeuta